Il Lohengrin scaligero e il simbolismo wagneriano

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Si sa che la ragion d’essere del mito è il simbolismo. In Wagner questo è particolarmente evidente. Si pensi al simbolismo della tetralogia e alle configurazioni del potere che essa esprime, o al simbolismo del Tristano, dove la forza luminosa e devastante dell’amore si scontra tragicamente con il senso del dovere, o quello dei Maestri Cantori, dove il simbolismo investe il mondo della creatività e dell’arte, o quello ancor più complesso del Parsifal dove il simbolismo della redenzione si ammanta di una veste mistica di sapore cristiano-buddista, nell’esplorazione della compassione e della reincarnazione.

Nel Lohengrin, la mia impressione è che il simbolismo, che nelle opere citate sopra è complesso e raffinatissimo, si trovi ancora ad uno stadio primitivo. Qui Wagner sembra preoccupato soprattutto della lotta fra il bene e il male. Il bene, luminoso ed eroico, diretto e senza compromessi, si scontra con un male tortuoso e infido, nato e sviluppato nell’intrigo. In questa eterna lotta non ci sono vinti o vincitori, oppure, forse, tutti sono destinati ad essere sconfitti. Infatti mentre il male non può competere col bene, anche il bene ha in sé l’anello debole che lo porta alla sconfitta. E l’anello debole è proprio nella natura stessa del bene, impersonato dalla donna.

Nel Lohengrin tutto questo è espresso in modo molto esplicito non solo nell’ambito del racconto, ma soprattutto nella musica. Prendiamo in considerazione il tema solare ed eroico di Lohengrin, il tema celestiale del Graal, il tema dolce che impersona Elsa, e li confrontiamo con i temi subdoli e tortuosi negli archi bassi dei temi di Ortrude e della vendetta. Fra di essi, discriminante perentorio, sta il tema del divieto, il campo di battaglia, la radice della sconfitta.

La messa in scena di Lehnhoff coglie abbastanza bene questi aspetti. La vicenda, come si conviene ad un mito (sia pure con riferimenti storici, ma del tutto secondari) è svolta in un tempo e in un luogo indefiniti. Le scenografia è semplice: un emiciclo gradinato che si apre e si chiude a seconda delle necessità; una scalinata nel secondo atto che porta a chiese e palazzi invisibili; una stanza nuziale rappresentata da un cilindro con al centro anziché il solito letto, un pianoforte. Il cilindro crollerà drammaticamente all’atto della terza domanda di Elsa, sgombrando così la strada a Telramund e al suo tentativo di uccidere Lohengrin, e riportandoci alla “foresta” del primo atto, dalla quale Lohengrin, sconfitto, dovrà ripartire dopo aver raccontato delle sue origini.
I costumi ci portano in un tempo che potrebbe essere moderno: divise militari, di varia foggia, elmetti lucenti, sciabole. Ma nessuna di queste fogge ci porta in un paese definito. Lo scontro fra il bene e il male non ha tempo o spazio, ma tutti ne siamo preda, indipendentemente dal contesto storico. Qualche perplessità mi ha lasciato il costume di Lohengrin: foggia di color bianco cangiante, mantello che copre una specie di doppio petto, corno e sciabola appena coperti… Come immagine del bene mi è sembrata alquanto improbabile. Comunque questo è ciò che ci è stato dato.

È stata interessante a mio avviso la direzione dei cantanti da parte del regista. I movimenti scenici si sono svolti con l’attenzione di mettere in rilievo i vari aspetti dello scontro bene-male. Ad esempio, nel momento in cui il corteo che accompagna Lohengrin ed Elsa sta per entrare in chiesa, Telramund si lancia contro l’eroe pretendendo che egli riveli il proprio nome e le proprie origini. All’inizio la coppia Lohengrin ed Elsa sono al vertice della scalinata, e Telramund e Ortrude sono in basso. Il bene è luminoso e vittorioso, mentre il male gioca le sue subdole carte. Nel procedere della scena la posizione delle due coppie si inverte, e alla fine il male sovrasta, mentre alla base della scalinata Lohengrin dopo aver lanciato parole di disprezzo con il tono di chi non ha dubbi sulla vittoria finale, si trova davanti un Elsa sconvolta ed è costretto a commentare “Elsa! Come la vedo tremare! […] L’ha sedotta la menzognera bocca dell’odio?”. Cioè quella che sembrava una vittoria, in realtà si sta appalesando come una sconfitta.
E il regista lo metterà ancora più in evidenza nelle ultime battute che chiudono l’atto. Il tema del divieto interrompe bruscamente il procedere del corteo, la scena si oscura mentre all’apice della scalinata una giallastra luce radente investe la coppia malvagia.
Lo stesso tema lo ritroviamo poi nel terzo atto, nella camera nuziale. Lohengrin ha sentore dei dubbi di Elsa, e pensa che questi dubbi riguardino la non accertata nobiltà delle sue origini. Quindi si lancia in una perorazione nella quale con aria entusiasta si lancia in affermazioni che si concludono con la fatidica frase “Ch’io non vengo da notte e dolore, qui giunsi da splendore e gioia!”. Lohengrin sembra essere rapito dalla visione del suo mondo luminoso, ed ha una espressione estatica, e non si accorge che Elsa, alle sue spalle dà segni sempre più marcati di agitazione. Ancora una volta il male, apparentemente sconfitto dalla luce, risorge dalle tenebre dell’animo umano e alla fine avrà ragione della contesa.

La musica di Wagner non ha bisogno di commenti. I temi sono bellissimi, coinvolgenti al massimo, e l’orchestrazione attribuisce loro il significato necessario. Ad esempio, il tema di Lohengrin suonato sui legni, sorge luminoso dal tessuto sonoro nel corso del racconto del sogno di Elsa, rivelandone la natura soprannaturale; si presenta invece guerresco, eroico, trionfale nel coro che segue il vittorioso Giudizio di Dio. Così, altro esempio, il tema del divieto, si manifesta con solennità al momento in cui Lohengrin chiede ad Elsa di accettarlo come campione in difesa della sua innocenza, ma assume un tono minaccioso nel secondo atto, mentre i due malvagi ordiscono la trama. Oppure ancora il tema del Graal nel celestiale preludio del primo atto: da un inizio appena accennato sui violini in pianissimo procede in un crescendo che, a circa due terzi esplode negli ottoni, per poi allontanarsi nuovamente dopo averci gratificato della sua benedizione.

L’esecuzione musicale è stata molto buona. Gatti ha condotto l’orchestra realizzando tutti i significati che temi e orchestrazione danno al lavoro, accentuandone l’espressività e quindi la capacità di coinvolgimento dello spettatore.
I cantanti, in particolare Robert Dean Smith come Lohengrin, Anne Schwanewilms come Elsa, Waltraud Meier come Ortrude e Tom Fox come Telramund sono stati tutti all’altezza del compito. Se si possono fare delle critiche, forse quello che ho trovato meno convincente è stato proprio Dean Smith, il cui timbro mi è apparso, soprattutto negli acuti, un po’ appannato. Anche la Schwanewilms (mi pare che il suo cognome contenga la radice del cigno :-) ) ) mi è sembrato che avesse una voce piuttosto piccola. Meglio mi è apparsa la coppia dei cattivi.
Buoni anche Ronnie Johansen nelle parti di Enrico l’uccellatore, e di Detlef Roth nelle parti dell’araldo di guerra.

Pubblico entusiasta, con ovazioni alla Meier e soprattutto a Gatti.

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