La crisi di governo sulla relazione del ministro D’Alema in merito alla politica estera

Oggi il governo Prodi, sulla relazione di D’Alema in merito alla politica estera, è andato in minoranza al Senato.
Non c’era voto di fiducia, ma il fatto politico è di una tale gravità, sia per l’importanza della materia che dovrebbe regolare i nostri rapporti con gli altri stati, sia per l’obiettivo (evidentemente fallito) di ricompattare la maggioranza dopo le accese discussioni di questi ultimi tempi, che Prodi ha ritenuto giusto rassegnare le dimissioni, e Napolitano ha ritenuto giusto accoglierle.

Per tutto il giorno la TV ha trasmesso dibattiti, tentativi di analisi, possibili previsioni per il futuro: Otto e mezzo, con Ferrara, L’Infedele con Gad Lerner, Matrix con Mentana, Porta a Porta con Vespa, e poi i TG… Insomma tutto l’apparato dei media e della classe politica mobilitato per cercare di spiegare al povero cittadino, comune mortale, gli intrighi, le strategie, le dietrologie che hanno portato a questo disastro.
L’esito della votazione è stato beffardo. Sulla base dei presenti in sala, il quorum per l’approvazione della relazione di D’Alema era di 160 voti. Alla fine della votazione i voti favorevoli sono stati 158. I voti contrari sono stati 136 e gli astenuti 24. Poiché gli astenuti, al Senato, sono di fatto voti contrari, contro la relazione D’Alema ci sono stati 160 voti.
Che cosa è successo? Per l’approvazione della relazione si sono schierati tutti i senatori del centro-sinistra, anche quelli che, nelle discussioni dei giorni precedenti si mostravano dubbiosi o addirittura scettici. Tranne due. Uno di Rifondazione, Turigliatto, e uno dei Comunisti Italiani, Rossi. I due dissidenti, non hanno partecipato al voto, cioè erano fuori aula. Non ha partecipato al voto neppure Scalfaro, senatore a vita, e di orientamento favorevole al centro-sinistra, in quanto, secondo fonti ufficiali, a casa ammalato.
I voti contrari sono stati quelli di FI, Lega e AN. E questo era scontato.
Le astensioni: sicuramente i senatori dell’UDC. Rimane da analizzare il comportamento dei senatori a vita: quello che emerge, e che probabilmente ha portato all’esito disastroso, è stato il voto di astensione di Andreotti e quello di Pinin Farina.
L’accusa, fatta inizialmente ai due dissidenti che non hanno partecipato al voto non sta in piedi. Se entrambi avessero partecipato al voto, il quorum sarebbe salito a 161, mentre i due nuovi voti avrebbero portato l’esito della maggioranza a 160, quindi insufficiente. Anche la eventuale presenza di Scalfaro non avrebbe cambiato la situazione, portando i voti favorevoli a 161, ma il quorum a 162.
Quindi bisogna prendere in esame il voto di astensione di due senatori a vita: Andreotti e Pinin Farina e il suo significato. L’anomalia sta nel fatto che Andreotti aveva annunciato il voto favorevole, sia pure con qualche riserva; e che Pinin Farina praticamente non aveva più partecipato alla seduta del Senato dal momento della fiducia a Prodi. Si dice che la presenza in Senato di Pinin Farina sia stata sollecitata, quindi, in certa misura, coerente con un disegno politico. Un dato comunque appare chiaro: la presenza di Pinin Farina fa aumentare il quorum.
Gli studi dietrologici cercano di spiegare l’accaduto con una contorsione, ma, forse non del tutto sbagliata.
Ora il voto di astensione di Andreotti, di Pinin Farina e, si può aggiungere, quello di Cossiga, potrebbe essere il segno dell’opposizione di alcuni “poteri forti” non tanto a questo governo come tale, ma ai provvedimenti che dovranno essere approvati e alle linee che presumibilmente questo governo seguirà. In particolare i poteri forti chiamati in discussione potrebbero essere la Chiesa (e per essa la Curia) in relazione al progetto di legge sui DICO, la grande industria in relazione alla inevitabile riforma delle pensioni e altri aspetti, e gli Stati Uniti, che temono uno slittamento dell’Italia al di fuori del loro controllo.
I maligni dicono addirittura che Andreotti avrebbe lavorato per accelerare la crisi del governo per evitare che essa avvenga (quasi inevitabilmente) sui DICO, con conseguenti accuse al Vaticano e lotta di religione.
Non è escluso che questa versione dietrologica abbia un fondamento di verità.
Che cosa accadrà? Molto difficile dirlo. Prodi è stato bravissimo a gestire l’esiguità della maggioranza al Senato. C’è che ha usato l’espressione che Prodi sia riuscito a vincere la forza di gravità.
Ma ora? Forse la maggioranza si ricompatterà in modo più stretto e più sostanziale, vi saranno meno polemiche interne, si riuscirà a dare un contenuto razionale alla parola “compromesso” sulla quale si basa ogni alleanza, tutto possibile e tutto auspicabile. Ma al Senato i numeri sono sempre a rischio. La maggioranza può essere ottenuta solo col concorso dei senatori a vita. Ma questo concorso è aleatorio, e rischia di venir meno su riforme importanti ma scomode (per esempio i DICO, per esempio una revisione della legge sulla procreazione assistita, per esempio su impegni che riguardano i nostri rapporti con gli USA, per non parlare di riforme sanguinose, come possono essere la riforma della pensioni, la riforma delle TV, etc.)
L’alternativa sono elezioni anticipate. Ma con che legge? Con il porcellum, come la chiama Sartori? Oppure, si fa il solito governo di transizione, o tecnico, o balneare, o istituzionale (i nomi di fantasia non mancano) per fare la riforma elettorale e poi andare a votare? Ci si può solo immaginare quale mostruosa perdita di tempo sarebbe, senza, oltretutto conseguire garanzie che l’esito elettorale possa consentire una governabilità.
Va beh, vedremo! E speriamo che tutto questo non riporti al potere lo psiconano, l’uomo impossibilitato a distinguere fra affari di casa sua e affari della nazione.

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