Perché voterò alle “primarie” del Partito Democratico

Sulla natura del partito Democratico non mi sono mai fatto delle illusioni, e ne ho anche scritto in questo Blog.
Oggi, dopo infinite discussioni ascoltate nei vari Talk-show televisivi, forse è possibile precisare meglio il processo in corso, e tutto sommato prendere alcune decisioni.


Il Partito democratico nasce sulla fusione di due partiti nazionali: il Democratici di Sinistra (DS) e la Margherita (DL). Entrambi i partiti non vi convergono nella loro totalità: frange importanti dei DS e alcune individualità della Margherita hanno disertato questa unione, rivendicando i primi una fisionomia e una identità di sinistra, i secondi rivendicando una loro partecipazione a un processo di democrazia liberale che non vedono compiersi nel PD.
Nelle dichiarazioni dei diversi leader che lavorano per la costruzione del PD, esso non dovrebbe configurarsi come la semplice fusione fra i due partiti storici, ma dovrebbe avere le porte aperte per la confluenza di altre forze, sulla cui natura, comunque, non vi sono informazioni. Di fatto non vi aderisce nessuno dei partiti che si richiamano esplicitamente a sinistra; non vi aderiscono quelli che sono i residui del vecchio partito socialista; non vi aderiscono diversi raggruppamenti centristi, che siano dichiaratamente di ideologia cattolica o di orientamento laico.
Resta come costituente del PD la fusione di parte dei due schieramenti storici, cioè qualche cosa che potrebbe essere definita come la maturazione definitiva, sia pure in tono minore, di quello che per tutti gli anni Settanta è stata un po’ la grande speranza della politica italiana: la fine della contrapposizione frontale fra la Democrazia Cristiana e il PCI, e l’inizio di un percorso convergente che, ponendo al centro una serie di valori comuni alle culture sulle quali si fondavano i due partiti, potesse portare a costituire un governo profondamente riformatore e aperto alle istanze di una società sempre più matura e consapevole, cioè il compromesso storico.

I grandissimi cambiamenti intervenuti in Italia dagli anni Ottanta in poi hanno testimoniato una grave involuzione della funzione e della natura dei partiti. Al partito inteso come attiva partecipazione di militanti, portatore di valori condivisi, efficace anello di collegamento dei cittadini con le istituzioni così come richiede la Costituzione, oggi si sono sostituiti numerosissimi partiti, anche di piccolissime dimensioni, formatisi e organizzatosi attorno a un leader, o a un piccolo gruppo dirigente, con la funzione specifica di partecipare in un modo o nell’altro alla gestione del potere, magari sfruttando diritti di veto spesso usurpati, privi di un reale militanza di base, di un reale collegamento con settori della società civile.
Lo scollamento che ne è risultato è alla base delle difficoltà, constatabili da tutti, di governare un paese che dall’orgogliosa posizione di quinta o sesta potenza economica mondiale occupata in un passato non lontano, sta rapidamente retrocedendo, sia per l’enorme debito pubblico accumulato, sia per le difficoltà di mantenere una produzione di alto livello capace di creare ricchezza e posti di lavoro.

La nascita del Partito Democratico dovrebbe farsi carico di questa difficoltà, sia con valorizzazione delle sue radici, sia con il programma di una vera democratizzazione delle sue strutture organizzative e politiche. E uno dei punti forti di questa democratizzazione, oltre al lungo e complesso percorso che ha visto i due partiti costituenti giungere al loro scioglimento, è nella consultazione elettorale per la elezione del segretario e del gruppo dirigente: le cosiddette “primarie”.
Io non so se la prospettiva rappresentata da questo nuovo soggetto politico sia tale da risolvere i gravi problemi politici e sociali della nostra società. Il timore mio, credo assai fondato, è che il deterioramento politico-sociale in Italia sia in uno stadio molto avanzato, e che il processo del risanamento non possa essere che molto complesso e tale da occupare un arco di tempo molto lungo, durante il quale si dovrebbe pervenire al ricambio di gran parte del gruppo dirigente, reale o fasullo, che oggi gestisce il potere.
Comunque, si può ipotizzare che il PD possa rappresentare un primo passo per innescare il processo virtuoso.

Vi sono tuttavia alcune obiezioni di fondo.
La prima è che, mentre si sta procedendo alla sua costruzione la società italiana sta manifestando, in toni sempre più roventi, la propria insofferenza per una classe politica della quale sono visibili solo i privilegi, mentre nessuno vede adottare i concreti provvedimenti di cui il paese sente urgente bisogno.
Vi sono segnali inconfondibili: per esempio il successo del libro La casta, nel quale si denunciano i privilegi ingiustificati di una classe politica che si espande sempre più contestualmente alla propria inadeguatezza e alla propria arroganza; il grande successo nella raccolta delle firme per promuovere il referendum contro la legge elettorale; la grande partecipazione al blog di Beppe Grillo e più recentemente il grande successo del Vaffa Day, associato alla proposta di legge per escludere dal Parlamento i deputati che hanno una condanna penale passata in giudicato, e alla richiesta di un azzeramento dei partiti, così come oggi si offrono alla comunità nazionale.
Alla base di questa obiezione sta la constatazione che non si può, in questa situazione, non tener conto del malcontento popolare, e che non basta denunciare il pericolo che questo movimento di protesta possa innescare procedimenti di tipo qualunquistico. Non mi sembra che la discussione in corso all’interno del PD dia risposte convincenti a questo movimento di massa, e ciò che si avverte al massimo è un rincorrere episodicamente i fatti più scandalosi, senza che venga avviata una analisi reale e approfondita e cercare di prendere le redini di questo movimento (non di cavalcarlo, eh!) per farsene una forza e avviare importanti e urgenti riforme.

La seconda obiezione è che il procedimento democratico di costruzione del PD che deve culminare con le primarie si è incagliato nel momento in cui i gruppi dirigenti dei due partiti hanno sentito l’esigenza di fare quadrato e di assicurare la loro continuità al di là del fenomeno elettorale delle primarie. E questo si è concretizzato nella proposta, sollevata da consistenti gruppi dirigenti dei due partiti, di candidare alla segreteria Veltroni, e di cercare di scoraggiare altre candidature.
Questo comportamento rinnega effettivamente ogni principio di democrazia che dovrebbe essere alla base del partito che, in tal modo, finisce di essere il piedestallo per la gestione del potere dei vecchi gruppo dirigenti dei DS e della Margherita. Il PD cesserebbe di rivendicare la sua essenza di partito nuovo, e finirebbe di presentarsi all’opinione pubblica come l’ennesima versione dei partiti di questa generazione.
Veltroni, il candidato considerato certamente vincente (gli apparati dei due partiti sono mobilitati nel sostenerlo), si presenta con esternazioni a getto continuo, in parte cercando di dare risposte alla crisi economica, in parte a quella politica, prospettando soluzioni, cercando alleanze, e, si ha l’impressione, cercando di accontentare tutti e il loro contrario. Mi piace ricordare, come esempio del tortuoso procedimento veltroniano, la sua posizione sulla raccolta firme per il referendum contro la legge elettorale: favorevole alla raccolta di firme, ma senza a sua volta firmare. Quello che tuttavia non mi sembra emergere nella sua esternazioni è il progetto di partito come strumento di partecipazione dei cittadini alla costruzione della stato, secondo il ruolo assegnato dalla Costituzione: come ricostruire le sezioni e la loro vita democratica, come chiamare alla politica i giovani, come aprire spazi di discussione e partecipazione. Tutto questo sembra scontato, ma scontato non è affatto. E temo che lo si constaterà presto.

Un dato positivo, invece, è rappresentato dal fatto che, nonostante le pressioni contrarie, vi siano altri candidati alla segreteria del PD a questa primarie. E questo è uno spiraglio che potrebbe mitigare la sfiducia sulla natura e sulla efficacia del PD a porsi gli ambiziosi obiettivi di cui tutti parlano.

La presenza di queste candidature alternative ha un senso e pone delle riflessioni. Mi fermo solo a considerare la candidatura di Rosy Bindi. Una candidatura apparentemente molto libera, distaccata dai gruppi dirigenti in carica, costruita faticosamente senza alcun appoggio organizzato preesistente. Un centro che potrebbe offrire una vera svolta democratica alternativa, per un partito che finora sembrerebbe nato principalmente come strumento della burocrazia di gruppi dirigenti precostituiti.
Quello che sembra apparire nella candidatura di Rosy Bindi sarà vero? Potrà essere un’alternativa democratica alla burocrazia di Veltroni? Sarà in grado di attivare una vita interna, aprire una fiducia nella gente oggi ai livelli più bassi della nostra storia? Certamente non sono in grado di prevederlo. Ma la sua presenza mi consente di guardare le cose della politica con quel minimo distacco che può suggerirmi un comportamento.

A) Il ritorno di Berlusconi al potere sprofonderebbe definitivamente lo stato nel baratro del qualunquismo (questo sì vero e irreversibile), dell’illegalità, della paralisi.
B) il PD forse non sarà in grado di mantenere le promesse; ma è l’unica via oggi aperta per contrastare Berlusconi. La condizione principale tuttavia è che il PD si dimostri una strumento realmente democratico e con forti radici nella società civile; e questo può avvenire se si eviterà un plebiscito a favore di Veltroni.
C) Per i due motivi espressi sopra, credo che sia ragionevole partecipare alle primarie e dare il proprio voto per un candidato in grado di contrastare il trionfo dei burocrati che sostengono Veltroni: questo candidato io lo identifico con Rosy Bindi.

Qui riporto l’intervista di Rosy Bindi ad Aldo Cazzullo dell’8 ottobre pubblicata
sul Corriere della sera. La riporto perché mi sembra significativa e perché in
essa trovo riscontro ad alcune mie convinzioni sulla nascita e sul significato
del Partito Democratico, e soprattutto mi rafforza nella convinzione di dare a
Rosy Bindi il mio voto.

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