L’ULTIMA DEL DIAVOLO, di Pietrangelo Buttafuoco

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Ho letto questo romanzo incuriosito dall’autore. Avevo letto Le uova del Drago e mi aveva interessato se non altro per conoscere un po’ più da vicino:
a) la storia dell’invasione angloamericana della Sicilia
b) il punto di vista di uno scrittore dichiaratamente con simpatie fasciste su un periodo della nostra storia entrato a far parte della mitologia.

Ora Buttafuoco ci porta in un ambito molto diverso, ma anche, almeno per me, molto meno interessante.
Si immagina che un sant’uomo, un eremita cristiano che vive nel deserto siriano, un certo Bāhirā, nel 600 d.C. abbia profetizzato l’avvento di un messia per il popolo arabo, e abbia riconosciuto questo messia in un giovane incontrato in una carovana di passaggio, per dei segni inequivocabili riscontrati sul suo corpo. Il giovane era (e poi sarà) Maometto. La documentazione di questi eventi è scritta in alcuni papiri che, in quanto tali, dovrebbero rappresentare la prova in oppugnabile dell’iniziazione cristiana dell’Islam. Bāhirā, alla sua morte, verrà fatto santo.
Questa iniziazione cristiana dell’Islam non piace al diavolo, che vuole cancellarla. Nel romanzo il diavolo si presenta come un distinto signore, dal nome di Nick Mac Pharphharel: nome che mette assieme il diminutivo classico del diavolo, Nick (anche nel Rake’s Progress, l’opera di Stravinsky, il diavolo si chiama Nick, per l’esattezza Nick Shadow), con una anglicizzazione del nome di un diavolo dantesco nella Divina Commedia, Farfarello. Nick Mc Pharpharel avvicina un alto cardinale di Santa Romana Chiesa, SER Taddeo Reda di Giugliano, e gli fa una proposta esplicita: verserà un importante somma di denaro a favore di una istituzione religiosa indicata dal cardinale stesso, se in cambio il cardinale si impegnerà a cancellare ogni traccia di questo monaco Bāhirā, compresa la sua canonizzazione, e a cercare e distruggere i papiri che fanno riferimento a lui e alla sua profezia su Maometto. SER accetta. Togliere dagli altari Bāhirā è una cosa abbastanza semplice; più complesso è il reperimento dei papiri, tanto più che il pope Pavel, capo della chiesa ortodossa è anch’egli in cerca di questi papiri non per distruggerli, ma anzi per valorizzarli e dimostrare e alimentare la vicinanza della sua chiesa all’Islam.
In queste linee direttrici che supportano il tema centrale del romanzo credo che sia ravvisabile una forma di simbolismo: il dialogo con l’Islam nell’ambito della Chiesa cattolica è ostacolato da importanti forze che nel romanzo sono identificate con il diavolo. SER è il classico cardinale di Santa Romana Chiesa, la cui spiritualità è subordinata agli interessi concreti ed immediati, e la cui ideologia è ampiamente preconciliare. Nessuna meraviglia quindi che sottoscriva questo patto scellerato.
Questo aspetto simbolico mi pare molto debole; il meccanismo della trama, nel romanzo, è diluito da continue divagazioni di fatti e misfatti legati alla vicenda dei papiri, ma poco o nulla agli aspetti politici che potrebbero essere alla base, e quindi aprire un vero contrasto in merito alla iniziazione cristiana all’Islam.
Nel romanzo compaiono numerosi personaggi, quasi tutti riempitivi per dare una maggior evidenza agli aspetti ambientali. In apertura del romanzo l’autore sente la necessità di farne l’elenco specificandone le funzioni.
Il personaggio più vivo è il cardinale. Il suo modo di comportarsi ci richiama la nobiltà napoletana d’ogni tempo. “Sua Eminenza è nata prima donna. Ha modi e tratto dal gran signore, ha la scuola della Chiesa preconciliare ed è degno del vecchio mondo chic, dunque abbonda in cerimonie” scrive Buttafuoco. È cafone e arrogante con i sottoposti, ironico quanto basta davanti a situazioni per lui imbarazzanti, nel linguaggio italiano di buono stile ama inserire termini del dialetto napoletano per dare maggior vivacità, ed sempre pronto a trarre vantaggio per sé dove ne intravede la possibilità. Tutto sommato potrebbe essere un tipo simpatico, anche se non si può non collocarlo dall’altra parte della barricata. Più grigia la figura di McPharpharel, di cui si vanta l’eleganza del portamento e l’arroganza del padrone; degli altri personaggi non vale la pena parlare: costituiscono uno sfondo piuttosto opaco, una folla indistinta che sembra messa lì apposta per creare un po’ di movimento e giustificare le intemperanze verbali dell’autore.
Il linguaggio usato da Buttafuoco lo definirei falsamente barocco: linguaggio ricco di metafore, spesso allusivo, mai diretto. Spesso vi sono autentici giochi di virtuosismo lessicale. Altrettanto spesso, le espressioni convolute, torte, ritorte, sibilline finiscono per essere poco comprensibili.

Il racconto si dipana a partire dall’intenzione di SER il Cardinale di organizzare una grande festa, per la quale è necessario trovare una scimmia, un domatore di scimmie e un a pistola. L’esigenza di trovare questi ingredienti, per il tramite di amici, fa incontrare SER con Mc Pharpharel, e quindi dà origine al patto scellerato. Nel corso del racconto ci vengono offerte numerose divagazioni per farci conoscere in dettaglio la storia del monaco Bāhirā che dal suo eremo siriano riconosce appunto Maometto ancora in giovane età e lo indica come Messia degli arabi; le peripezie dei papiri che narrano gli eventi che dovrebbero comprovare l’iniziazione cristiana dell’Islam; e poi anche episodi tratti dalla storia nei quali, al di là delle contese militari, in diverse occasioni, fra cristiani e mussulmani affioravano curiosità e venerazione reciproca per le grandi figura della rispettive religioni: Gesù e Maometto.
Il finale è quanto mai scontato: SER arriva a trovare i papiri (McPharpahrel sapeva dov’erano fin dall’inizio, ma non si sa perché se lo teneva per sé rifiutandosi di rispondere alle ripetute domande sull’argomento), li brucia con un fiammifero offertogli dal Diavolo, e poi finalmente muore dolcemente dopo essersi recato nel convento di Bāhirā nel deserto siriaco, e soffermato a guardare il panorama dalla stessa finestra dalla quale il santo (o ex-santo) monaco aveva visto arrivare la carovana nella quale aveva riconosciuto il profeta Maometto.
La conclusione che non conclude nulla (e come potrebbe? la prossimità fra cristiani, siano essi cattolici, siano essi ortodossi e l’Islam è ancora là da venire). In sostanza il libro è molto noioso, si legge con difficoltà (confesso di essermi imposto quasi con la forza di arrivare alla fine) e soprattutto non apre nessuna prospettiva: la trama si ripiega su se stessa e di fatto, anche se tecnicamente il romanzo finisce con la distruzione dei papiri e la morte del cardinale, il finale lascia le cose esattamente come erano all’inizio.

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