CARAMEL, di Nadine Labaki, 2007

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Godibilissimo film, tutto al femminile, della regista libanese Nadir Labaki. Quattro donne lavorano in una salone di bellezza a Beirut. Ognuna di loro ha una propria vita e una propria storia. Nel film le conosceremo da vicino.

Una di loro, Leyal, interpretata dalla regista, è pazzamente innamorata di un uomo sposato. Questi la chiama per i fugaci appuntamenti, con un colpo di clacson. Ella le corre incontro, sale sulla sua macchina, commette infrazioni stradali, fa scene folli per trovarlo, farlo salire e appartarsi con lui in luoghi squallidissimi. Ma la relazione è fragile, almeno da parte di lui. Lei aspetta ansiosa le sue telefonate, e si dispera se tardano; per il suo compleanno gli vuol fare la sorpresa, fra mille tribolazioni, di affittare una camera in un hotel (sia pure in un hotel di infimo ordine, perché in Libano è permesso affittare camere matrimoniali solo a persone sposate), di arredarla con palloncini colorati, candeline, di preparargli un dolce augurale ecc., ma lui non viene perché non può lasciare la moglie proprio in quel giorno. Insomma le delusioni finiscono di essere più delle gioie. Le amiche se ne accorgono e cercano di starle vicine, di aiutarla.

Un’altra è Nisrine, interpretata da Yasmine Elmasri. Vive in una famiglia di mussulmani, si deve sposare, le amiche le fanno festa, ma ad un certo momento confessa loro: ha avuto un rapporto con un uomo, e il futuro marito lo ignora. Le amiche non si perdono d’animo. Occorre una riparazione. Il metodo più semplice è quello chirurgico: due punti e via.

La terza è Rima, donna di chiare tendenze lesbiche, che ha una delicatissima e dolcissima storia d’amore con una cliente, fatta di teneri sguardi, silenzi, piccole frasi innocenti.

La quarta, Jamale Tarabay, infine è una donna di età un po’ più avanzata, separata dal marito, con velleità giovanili, che cerca di fare provini per la televisione, e si dà da fare per appiattire le rughe, e vuol far credere di avere ancora le mestruazioni ricorrendo a trucchi.

Oltre alle quattro amiche, facciamo la conoscenza di una sarta di modeste pretese, Rose, che lavora vicino al salone di bellezza e vive con una sorella più anziana, Lili, partita di testa, che nel film rappresenta una vera macchietta rompiscatole. Anche per la sarta, personaggio apparentemente senza prospettive se non quella di badare vita natural durante alla sorella pazzoide, ad un certo momento sembra aprirsi la possibilità di una storia con un anziano cliente straniero, forse inglese. Ma il richiamo della sorella è più forte di qualsiasi prospettiva, e la donna, tristemente, rinuncia.

Il tutto avviene in una Beirut vivace, colorata, dove convivono cristiani, mussulmani, e chi sa chi altro, dove il traffico automobilistico è caotico, dove negli stretti vicoli vi sono processioni con la statua della Madonna, dove vi sono poliziotti ansiosi di esercitare il loro potere, ma anche poliziotti gentili che trattano civilmente le persone.

Le storie raccontate vanno tutte incontro alla loro conclusione. Layal dopo infinite umiliazioni, dopo aver conosciuto la moglie del suo amante e aver capito che il suo futuro con l’uomo non esiste, riesce a liberarsi, e per un ultima volta sentirà il clacson suonare, ma questa volta invano. Rima avrà una storia con la sua bella cliente. Nisrine si sposerà con il suo uomo, e lo farà con una bella festa alla quale tutti, amici e amiche sono invitati. E Jamale Tarabay continuerà nella sua battaglia contro il tempo.

Quello che piace molto è la leggerezza della regista. Le storie, anche nei momenti più tristi, come le delusioni di Layal, corrono via intrecciandosi fra loro, senza mai cadere nel patetico o nel volgare. Alla fine si esce con un sentimento di ottimismo che il film riesce a comunicare.

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