IL LIBRO DI MIO FRATELLO, di Bernardo Atxaga

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Il titolo della traduzione italiana si discosta dal titolo originale basco (Soinujolearen semea, ossia Il figlio del fisarmonicista) nel tentativo di dare una interpretazione alla struttura, alquanto insolita, del libro.

L’autore, Joseba, (il vero nome di Bernrdo Atxaga) si reca in California per dare l’ultimo saluto a David, sua fraterno amico, col quale ha vissuto gran parte della giovinezza a Obaba, mitica cittadina dei Paesi Baschi. Lì apprende da Mary Ann, la vedova di David, che l’amico ha scritto un libro di ricordi in lingua basca con l’intenzione di tramandare alle due figlie, Liz e Sara, la vita e l’identità di un popolo orgoglioso e una lingua sempre meno parlata, ma per questo ancora più preziosa.
Joseba porterà una delle cinque copie del libro a Obaba, dove egli ancora vive, per consegnarla, secondo le istruzioni testamentarie dell’amico, alla biblioteca della cittadina. Ma prima di far questo egli ritiene giusto farne anche la traduzione in castigliano e integrare alcuni dei ricordi comuni.

Così comincia questo romanzo, che ci riporta all’inizio degli anni Sessanta. La dittatura di Franco prosegue stancamente, ma sempre con feroci repressioni quando avverte pericoli di rivolta, la sua presa sulla società spagnola e quindi anche su quella basca. I giovani trascorrono il loro tempo fra studio, escursioni in una regione boscosa e ricca di bellezza naturali, feste paesane, giochi collettivi, corte alle ragazze. Poco o nulla si sa della guerra civile che ha portato al potere Franco. Le informazioni su quanto avvenuto dal 36 al 39 sono scarse e comunque manipolate, e alla fine sembrano interessare relativamente la comunità dei giovani. Insomma, non se ne parla.
Ma il tempo passa, e David, l’autore del libro di ricordi, viene a sapere quasi per caso che la guerra civile è stato un fatto tragico: a Obaba ci sono state undici persone, del tutto innocenti, fucilate non appena i franchisti hanno conquistato la cittadina; inoltre nel corso della guerra, i tedeschi alleati di Franco e su sua indicazione, hanno bombardato una città basca, Guernica, provocando 2000 morti fra la popolazione civile. Questi fatti, emergendo quasi di straforo, turbano profondamente l’animo di David e quello dei suoi amici. David vuol saperne di più, comincia a indagare e viene a sapere che fra gli autori delle fucilazioni ci sono persone che vivono in città, con le quali vi sono contatti quasi quotidiani, alcuni addirittura genitori di suoi amici. Il sospetto gravissimo è che fra questi assassini ci sia anche suo padre, il fisarmonicista. Il ritrovamento di quaderno del padre nel quale erano elencati gli undici nomi dei fucilati alimenta il sospetto. In aiuto di David viene lo zio Juan, il fratello della madre, ricco allevatore di cavalli, che passa il suo tempo parte nei Paesi Baschi, parte in California assieme a una piccola comunità di Baschi americani, i pastori. Juan racconta episodi della guerra civile, e mostra al nipote un nascondiglio dove, al tempo delle fucilazioni egli ha nascosto e contribuito a salvare un basco americano destinato anch’egli ad essere fucilato, Don Pedro.
La coscienza antifascista di David viene così alimentata, ed egli finirà per rifiutarsi di partecipare come suonatore di fisarmonica (David ha appreso a suonare lo strumento dal padre) a cerimonie ufficiali, come per esempio l’inaugurazione di un monumento ai caduti della guerra civile (naturalmente si tratta solo di caduti di parte franchista).

Passando gli anni, fra i giovani di Obaba si comincia ad avvertire la presenza di movimenti di ribellione politica. Si sente parlare di volantinaggio come di qualche cosa di proibito.
Alcuni di loro organizzano una specie di volantinaggio con i nomi delle più belle ragazze di Obaba. Il fatto fa scalpore. Nella comunità si infiltrano alcuni personaggi che successivamente si riveleranno essere appartenenti a un gruppo terroristico di opposizione al regime (presumibilmente l’ETA). David ed altri giovani, fra i quali Joseba, si lascino convincere ed entrano in clandestinità. Qualcuno di loro viene catturato, torturato e ucciso. Gli altri partecipano a vari attentati, e passano gran parte del tempo libero in Francia, al di là del confine.
La vita della clandestinità è dura, e, soprattutto per David e Joseba, non sembra offrire quelle prospettive verso le quali si sentono chiamati dalle loro vocazioni. La lotta clandestina si ammanta di parole che sembrano più stereotipi che vere e proprie realtà: società, nazione, proletariato. I due amici sono baschi, e sentono profondamente l’identità, ma non sentono l’esigenza di una evoluzione o rivoluzione nazionale. L’identità deve vivere nella cultura, nelle parole, nella lingua. Entrambi decidono così di uscire dall’organizzazione. Questo avviene in modo drammatico, con arresti, torture e prigione da una parte, accuse di tradimento e minacce di punizioni dall’altra.
Le vicende si concluderanno positivamente, ma i protagonisti saranno costretti all’espatrio.

Il libro ha il grande merito di far entrare il lettore in un mondo di cui si parla molto poco, e quasi sempre solo per citarne gli aspetti indipendentistici: il mondo basco. In realtà nei protagonisti del romanzo, più che l’indipendenza politica sembra prevalere la difesa dell’identità, attraverso la lingua. David, ad esempio, per fare imparare il basco alle figlie, nate in America, insegna loro nomi di farfalle in basco, e chiede loro di scrivere questi nomi, metterli in una scatoletta e seppellirli al cimitero.
La partecipazione all’organizzazione indipendentistica viene accettata nel momento in cui si pone come lotta contro il franchismo, ma viene rifiutata quando si ammanta di contenuti ideologici che non appartengono, o non appartengono del tutto, all’identità basca. E anche nella vita quotidiana, come nel libro viene abbondantemente descritta, gli aspetti ideologici sono assenti o comunque passano in secondo piano rispetto alle esigenze della quotidianità. L’aspetto che mantiene il principio di identità è la lingua.

Un altro aspetto di interesse nel libro, è la scoperta fra le giovani generazione, degli episodi più grotteschi e barbari della guerra civile. Una generazione nata e vissuta sotto il franchismo, conosce poco o nulla dei tragici eventi che l’hanno fatto sorgere, e considera il franchismo, bene o male, come il modo di vivere “normale”. La consapevolezza e quindi il desiderio di cambiamento nasce quando si scoprono, quasi per caso, gli orrori che hanno consentito al franchismo di prendere il potere. Dopo aver saputo della fucilazioni fatte ad Obaba, David ha nella testa i nomi dei fucilati, che ritornano continuamente. E quando ha in mano una fotografia della inaugurazione del monumento ai caduti, e gli viene chiesto chi sono le persone che vi compaiono, risponde: molti di loro sono degli assassini. E lo stesso sospetto nei confronti del padre lo tormenterà per lunghi periodi della sua vita, e alimenterà in David un antipatia per lui che sfiora l’odio.

Infine, un altro aspetto interessante del libro è il solco che separa la “verità” del racconto dalla verità dei fatti come sono realmente accaduti. Per sottolineare questo, alcuni degli episodi narrati nel libro vengono poi ripresi sottoforma di confessioni alla fine. Cioè: il racconto è fatto in funzione di dare al lettore una verità, quello dell’io narrante. La confessione è un aspetto che viene utilizzato per far venire a galla una verità che può essere storicamente o giudiziariamente importante, ma che potrebbe essere narrativamente non sostenibile. Uno degli esempi più caratterizzanti è la vicenda di Don Pedro e della sua fuga e della sua salvezza alla progettata fucilazione. Nella narrazione la fuga appare più intrigante, più “eroica” se vogliamo; nella confessione gli aspetti eroici o cosiddetti tali non esistono più. Analogamente lo storia delle cicatrice che Joseba si fa alla testa per sfuggire alle torture della polizia. Nella narrazione la cicatrice gli deturpa il volto e assume un significato, ma nella realtà la cicatrice è invisibile.
Ne primo caso si tratta di bugie? Lo scrittore risponde di no: il racconto non è il frutto di un’indagine poliziesca, ma è il frutto di una fantasia, attraverso la quale i fatti assumono una loro vita. E a questo loro aspetto il narratore si attiene.

Il libro ha vinto il Grinzane Cavour 2008 nella sezione Letteratura straniera

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