SINISTRATI, di Edmondo Berselli

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Il libro è una critica feroce e scritta con ironia ai tentativi del Partito Democratico di minimizzare la sconfitta elettorale del 13 aprile 2008, e un tentativo di ricercarne le cause.

Il quadro della situazione contemporanea è descritto in modo del tutto condivisibile:
Il governo Prodi, i governi Berlusconi, le cose fatte e non fatte, i giudizi della gente, il tentativo di Veltroni di prendere le distanze dalla sinistra-sinistra come causa dell’instabilità del governo Prodi, le incertezze, la mancanza di un disegno culturale che permei il Partito democratico nato dalla fusione dei DS con la Margherita; il giudizio che senza una cultura cui fare riferimento non vi può essere un contenuto politico-programmatico credibile; il giudizio di un eccessivo distacco da quelli che sono i reali problemi quotidiani, ma anche di quelli solo percepiti, dalla gente; il giudizio sulla presunzione della sinistra di essere la verità e quindi di non aver bisogno di dire la verità, etc. Tutto questo si addensa in una critica approfondita e amara, e Berselli giudica ancora tutta da costruire quella che dovrebbe essere una nuova strategia che consenta di superare il pressapochismo camuffato da regime berlusconiano.
Certamente, come ha detto Mieli, il direttore del Corriere della sera alla trasmissione de l’Infedele presentata da Gad Lerner nella quale si parlava del libro, il problema primo che il partito democratico dovrebbe risolvere è quello del reclutamento delle figure dirigenziali: le primarie e i congressi si sono dimostrati essere false istanze di democrazia dagli esiti scontati, e di fatto hanno lasciato e lasciano indisturbata al potere una casta invecchiata e ormai incapace di proporre nuove strade.

Quello che secondo me, invece nel libro è molto carente è l’analisi storica, che secondo Berselli sarebbe all’origine delle difficoltà odierne del centro-sinistra. E qui la sua analisi risale agli anni Sessanta e Settanta, sottolineando le contraddizioni di un partito, il PCI, che si ispira ad forme di partecipazione popolare in presenza di movimenti sempre più vasti, a partire del 1968, ma anche con gravissime tendenze alla degenerazione (come il terrorismo), rimanendo tuttavia legato agli schemi gestionali tipici dei partiti comunisti dei paesi del cosiddetto socialismo reale (il centralismo democratico). Viene criticata anche la mancanza di cultura, non solo del partito in quanto tale, ma anche dei movimenti, denunciandone gli ondeggiamenti, la ricerca di una questione morale, l’incontro con i cattolici e quindi il tentativo politico (ma privo di reali contenuti culturali) di pervenire ad quella che veniva chiamata la terza via, cioè una via di progresso che non fosse né di tipo capitalistico né di tipo leninista. Il disprezzo massimo per questi orientamenti, che hanno avuto in Berlinguer (accusato di avere sopravvalutato la necessaria austerità in una società le cui pulsioni, grazie anche all’aumento produttivo, andavano esattamente nel senso opposto) l’alfiere della sinistra, e in Moro l’alfiere del mondo e delle morale cattolica, si concretizzava nel termine “cattocomunismo” che ancora oggi viene usato per indicare una specie di intransigenza che antepone la morale alla politica e che sottovaluta i diffusi bisogni di una società emergente.
Penso che questo tipo di analisi sia superficiale perché:
Si presenta anzitutto un po’ come il senno di poi: certamente, i travagli degli anni Sessanta e Settanta sono stati difficili, spesso confusi, e impegnati alla ricerca di una cultura di cui si intravedevano i contenuti, ma che sembrava sfuggire ad ogni ricerca di forma. Ma per chi ha vissuto quei momenti mi pare offensivo liquidare gli entusiasmi di una grande massa di giovani che sembravano impegnati nella ricerca di una libertà di pensiero fino a quel momento coartata da governi subordinati ai precetti cattolici. Come se la ricerca non fosse di per sé un’espressione di cultura.
Forse tutto questo ha provocato sbandamenti nel procedere della politica. In questo Berselli ha ragione. L’evoluzione del PCI in forme diverse dopo la bufera di tangentopoli, prima nel PDS, poi nei DS e infine nel PD, abbandonando da una parte i dogmi che ne avevano fatto una massa compatta ed elettoralmente efficace, ma conservando l’aspetto più negativo, quello del reclutamento della classe dirigente, imbalsamato in falsi congressi e in false elezioni primarie, ne è stata la riprova. Molti dirigenti ex-PCI si trovano ora a militare nei partiti di destra per rispondere alle loro istanze di liberalismo. Ci dice Berselli che questi comunisti, soprattutto quelli emiliani, quelli legati ad una concezione pragmatica e liberistica della politica, soprattutto quelli legati al mondo cooperativo, costretti dentro l’involucro Partito, una volta che l’involucro è scomparso hanno trovato la loro collocazione naturale proprio nei partiti di destra.

Certamente oggi è sacrosanto criticare nel centrosinistra l’assenza di una cultura che rappresenti l’asse portante sul quale costruire un programma politico e una credibilità. La fusione nel PD dei due tronconi, quello di derivazione comunista e quello di derivazione cattolica non è stata in grado di offrire un terreno comune sul quale costruire una nuova cultura. Ne è la riprova la discussione mai finita sui rapporti fra fede e laicità, e dell’influenza che ancora una volta, forse ora più che in passato, la Chiesa esercita sulla politica italiana.
E d’altra parte è molto riduttivo limitare l’esigenza di una cultura alla soluzione del binomio liberalesimo-socialdemocrazia, come mi sembra che tutto sommato faccia Berselli nel libro.
Forse i problemi sono molto più complessi, e la pressione che i mass media, televisione in primo piano, esercitano nel creare bisogni, falsi o veri che siano, rende obsolete le categorie della cultura quali noi conosciamo: si apre cioè una percorso nuovo, difficile da interpretare in chiave politica. E la presenza del fenomeno Berlusconi, degenerazione di un bipolarismo non più strutturato sul confronto fra scelte politiche differenti, ma orientato solamente al rafforzamento di un potere personale indipendente, rende questo percorso ancora più complicato.

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