IL SAPORE DELLA GLORIA di Hans Werner Henze a Spoleto – 53° Festival dei due mondi – Recensione di Jacopo Feliciani

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Era idealmente la Bandiera giapponese dell’ingresso Sud di Spoleto, o il monumento Octetra dello scultore Isamu Noguchi (1904-1988) del 1968 a fare gli onori al melodramma dello Spoleto Festival. Parlare del melodramma in cartellone per la serata inaugurale dello Spoleto 53, Gogo no Eiko di H.W. Henze, significa dover parlare di creazione.

La creazione di un’opera d’arte segue un iter che può essere più o meno complesso. Il melodramma, che è un insieme di arti, ha una gestazione complicata, intrecciata, lunga…

Per parlare di creazione di un melodramma non possiamo che richiamare il “capolavoro” di R. Wagner. Che oltre ad aver avuto un percorso piuttosto travagliato, ha avuto un’attenzione e cura eccezionale. Quale data possiamo prendere per la creazione del Parsifal? Il Venerdì Santo del 1857, data in cui il compositore tedesco inizia a concepirlo, il 1882 la data della prima di Bayreuth. Solo considerare questi elementi sono la bellezza di 25 anni, senza contare che librettista e musicista sono la stessa persona…

Occorre considerare gli autori della trama con date 1180 della pubblicazione del Perceval di Chrétien de Troyes, o 1205 del Parzival di Wolfram von Eschenbach? Ancora. Possiamo considerare il momento in cui il nero inchiostro del poeta fluisce sul foglio ancora bianco della pergamena, il momento in cui la ghiandola pineale del compositore capta le note dal Primum mobile, e le trasferisce alla materia grigia… quando il compositore fissa le prime note sul pentagramma. O forse quando lo spettatore comincia a percepire le note dell’overture, …quando il sipario si sta abbassando? Ma poi sarà sufficiente una prima edizione o considerare eventuali aggiustamenti che non sono stati graditi? Quando il melodramma è riconosciuto e apprezzato universalmente?

Dovremmo scomodare magari la filosofia o la teologia, e probabilmente non si arriverà mai alla conclusiva soluzione del problema; anche se con enorme speranza lasciamo aperto il quesito agli specialisti del settore.

L’unico modo che rimane per rispondere è quello di considerare lo spettacolo che abbiamo assistito allo Spoleto53 – Festival dei 2 Mondi - con il melodramma di Henze.

Probabilmente lo abbiamo visto negli occhi del Maestro Henze convinto, soddisfatto della sua creatura dai favori e dal plauso del pubblico, nella sua stretta di mano sicura, della firma del libretto di sala e dalla partitura messa frettolosamente in piedi insieme al suo assistente, in collaborazione con i consulenti musicali del Festival per adattare il Giapponese.

Sono passati 22 anni dal 1988, anno in cui un nuovo melodramma è consegnato agli spettatori con un plauso e favore di pubblico e critica.

E’ stato l’insuccesso a Berlino del titolo iniziale Das verratene Meer (Lo sdegno del mare), la lingua tedesca in cui era concepito a farlo risplendere nella lingua madre giapponese in cui era ambientato. Ma non solo. Bisogna considerare che la “creazione” era incompleta. Mancava tutta la parte scenica. Mancava dunque “la parola” come alla statua di Michelangelo. Il melodramma non può essere concepito se manca uno dei sui elementi costitutivi. In una musica atonale come quella di Gogo no Eiko, bella e geniale, ma difficile da digerire per un utente medio, una storia triste, ma lenta nell’azione aveva bisogno di un impatto scenico decisivo, importante. Di quei colori e gesti orientali, che magari resta difficile all’europeo immaginare, confusi da una musica dodecafonica che confonde le scale musicali nipponiche. Il regista Ferrara deve aver capito il problema, come fecero nel 1898 Konstantin Stanislavskij e Vladimir Nemirovič Dančenko, con il Gabbiano di Čechov riscuotendo un grande successo dopo il fiasco della prima del 1895. Quindi si è dotato di specialisti: uno scenografo che sa fare il suo mestiere fino in fondo Gianni Quaranta, Maurizio Galante per i costumi, lo specialista luci A.J. Weissbard, la stimatissima Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”, il Direttore d’orchestra Johannes Debus, un cast di cantanti molto preparati (a partire dal soprano coreano, Ji Hye Son che ha incantato la platea nel meraviglioso abito da sposa, con le sue note acute) il maggior fotografo per il teatroTommaso Le Pera. Insomma una formazione (siamo in tema di campionato mondiale di calcio) di massima professionalità.

Le premesse di un grande e meritato successo c’erano tutte: l’11 giugno ricevo una comunicazione da parte del gentilissimo Capo ufficio stampa, Marco Guerini, per assistere, il giorno dopo, ad un’anteprima ribattezzata “Antepiano”, insieme a pochi altri giornalisti, che consisteva in una breve prova di due scene con compositore, regista, scenogafo, costumista, responsabile luci, cantanti, direttore e pianista; assente l’orchestra di qui l’originale attribuzione. Giorgio Ferrara con un curriculum di tutto rispetto avendo collaborato con colossi quali Visconti, e con una vasta messa in scena teatrale e cinematografica, non ha risparmiato sui collaboratori. Ho notato subito la sicurezza e la professionalità perché malgrado il cast fosse di una cultura completamente diversa, tutti si muovevano senza incertezze e con notevole cordialità e collaborazione. Mancava sì l’orchestra, che a dire la verità da sola fa la differenza in una partitura che è un’enorme pensiero per un direttore d’orchestra. Ma ho espresso subito la mia impressione positiva alla regia. Impressione confermata sia alla prova generale che alla replica del 19 giugno confidando in più sulla bellissima orchestrazione.

 

Sulla trama e l’allestimento potrei aggiungere qualche considerazione.

Da rilevare la magnifica macchina scenica, ideata da Quaranta, che creava i vari ambienti e le scene con un movimento a vista. Magari qualche spettatore ha giudicato alcuni movimenti dei macchinari di troppo, ma era comunque spettacolarmente gradito assistervi e avevano la sua motivazione a supporto della trama. 

Ottime impressioni anche sul trucco. Particolari colori in collaborazione con studiate luci facevano risaltare le figure dei componenti della banda di Noboru con dei riflessi bianchi marmorei a simboleggiare la loro intaccabile e inarrestabile fermezza di ideali. 

Della storia si possono aggiungere alcune considerazioni richiamando la differenza di culture. Erano gli anni ’60, 1963 per la precisione, quando Mishima scrisse il suo romanzo.

Tempi difficili per il Giappone, ancora pesantemente penalizzato dall’influsso dei vincitori (Usa) di cui Mishima era fortemente amareggiato. Tra la popolazione c’era risentimento ma allo stesso tempo la tradizionale cultura giapponese era fortemente difesa, e tutte le scuse più banali erano avanzate per condannare il potere, come la lavagna in cui era segnato il punteggio per il verdetto dell’ufficiale Ryuji che raggiunge 150 per essersi scusato di aver attinto alla fontana, per aver abbandonato il mare “più buio della notte, la morte più buia della notte”, per aver perdonato Noboru che spiava la coppia nella loro intimità con il peso superiore a tutti di ben 35 punti. L’onore è sicuramente il valore più importante per la cultura orientale, e lo stesso Mishima ne dette prova con il suo suicidio rituale del 1970. Ma in fondo Mishima sembra non voler lasciare speranze in quanto l’esecuzione della sentenza di morte con il tè drogato e l’azione statica finale con l’impiccagione con le corde, di un virtuale potere, lascia l’amaro senza risolvere il problema della gang.

Un’altra critica che si è sentita circolare “in anteprima” è che un’opera dodecafonica come questa di Henze non fosse adatta ad una serata inaugurale. Da com’è andata non penso vi fossero ragioni per temere una siffatta affermazione. Qualsiasi degli spettatori si è divertito e non ha trovato tempo per distrarsi anche grazie alla complicità dei sottotitoli e comunque il Festival di Spoleto, così è se vi pare, originalità e sorpresa. Si poteva aprire come hanno fatto a Verona, stesso giorno, 18 giugno, con un titolo imponente? Sì, orientale sì, ma collaudato, insomma Turandot, che è garanzia di successo. No, qua siamo a Spoleto patria dell’avanguardia e della sperimentazione.

Il maestro Henze se ne è reso conto di cosa stava accadendo nella sala, nel golfo mistico e nel palcoscenico del teatro Nuovo di Spoleto e dirigendosi a ringraziare il direttore e il regista salutava il pubblico in un fragoroso lungo applauso con le braccia in alto a richiamare l’attenzione sulla nuova creatura.

 

Alla prima erano presenti le seguenti personalità: sua Eccellenza l’Arcivescovo di Spoleto-Norcia, Monsignore Renato Boccardo, l’Ambasciatore del Giappone Ando Hiroyasu, il Senatore Domenico Benedetti Valentini, il Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, il Sindaco di Spoleto Daniele Benedetti, l’attrice Adriana Asti, la Franca Valeri, la giornalista Lilli Gruber, Giuliano Ferrara, la moglie Anselma Dell’Olio, lo scrittore Corrado Augias, l’imprenditrice Carla Fendi, Vittorio Sgarbi, l‘Assessore alla Cultura della Regione Umbria Fabrizio Bracco, l’Assessore alla Cultura della Provincia di Perugia Donatella Porzi, l’Assessore alla Cultura Vincenzo Cerami, il Presidente del Consiglio comunale Stefano Lisci, Pino Strabioli, Lina Sotis, il Presidente della Provincia Marco Vinicio Guasticchi, il Presidente della Camera di Commercio di Perugia Giorgio Mencaroni

 

La cena di gala era offerta dalla Fondazione Carla Fendi e dalle “Casse del Centro” è stata fruita subito dopo l’opera, al palazzo Collicola. Come nella Dolce vita, la serata non è finita con il caffè perché l’attivissimo Vittorio Sgarbi con tutto il seguito di circa 200 persone ha aperto in anteprima la sua mostra in palazzo Pianciani per tutti i suoi fans.

 

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