TROVARSI, di Luigi Pirandello

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Questa commedia è stata scritta da Pirandello nel 1932, un paio di anni dopo i due capolavori Questa sera si recita a soggetto e Come tu mi vuoi. È stata dichiaratamente composta per Marta Abba, che, alla prima rappresentazione a Napoli, Teatro dei Fiorentini, 4 novembre 1932, ne ha interpretato la protagonista femminile, Donata Genzi. Donata non è solamente la protagonista, è il personaggio attorno al quale ruota tutta la vicenda, il personaggio che incarna il problema principale che sta a cuore al drammaturgo, e sul quale in vari modi si è soffermato in tutte le commedie scritte negli anni Venti, dopo i Sei personaggi in cerca d’autore: il rapporto fra l’attore e il personaggio; fra la vita come si svolge interpretata sul palcoscenico e la vita come attributo fondamentale dell’identità dell’interprete. Trovarsi, il titolo, è il termine che utilizza proprio Donata quando, alla fine di ogni rappresentazione, nel camerino mentre si toglie il trucco, si chiede chi sia la persona riflessa nello specchio: e si rende conto che la domanda non ha risposta, ovvero che le riesce impossibile trovare, dietro la maschera del personaggio appena interpretato, una identità che sia propria.

La commedia inizia con una discussione fra convenuti nella casa di Elisa, un’amica di Donata, presso la quale l’attrice ha accettato di trascorrere un mese di riposo lontano dalle scene.  Il tema è la natura della sua interpretazione dei personaggi come avviene sulla scena. Ci si chiede quale sia il carattere della donna, quali siano i suoi reali sentimenti, e se fra i tanti corteggiatori ci siano stati anche degli amanti. Recitare nella vita quotidiana o infondere vita reale ai personaggi interpretati? Tutti ne riconoscono la bravura; alcuni tuttavia si chiedono come ella possa interpretare sentimenti senza mai averne avuta esperienza diretta; altri sostengono che per dar corpo ai sentimenti del personaggio sulla scena non sia necessaria un’esperienza diretta, ma occorra disporre di intuito e capacità di tradurli in comportamenti. E analogamente, a coloro che si domandano chi sia veramente Donata, altri rispondono che non esiste una sola Donata, ma tante, quanti sono i personaggi cui dà vita. Donata, presa nella discussione, non sa rispondere a questi dubbi, e sente sgomento nel profondo in quanto si rende conto che una risposta le sia necessaria, e soprattutto le sia necessaria una identità dalla quale possano emergere sentimenti che siano propri e non traduzione di quelli dei personaggi interpretati. L’emergere di questi conflitti interiori la isola dal contesto, ed ella si allontana dalla compagnia dei convenuti. A questo punto l’attrice incontra un giovane, Elj Nielsen, che le appare dotato di grande vitalità. Figlio di un marinaio norvegese morto in un naufragio, è marinaio egli stesso; vive con uno zio, il conte Mola, che lo mantiene; ama la natura, il rischio, ripudia l’intimità e la vita ordinaria della borghesia benestante. Fra i due nasce un reciproco interesse. Donata è curiosa, vuol capire di più il senso di una vita elementare, come quella professata dal giovane, che potrebbe restituirle quell’identità che non riesce a trovare. Quando egli le confessa di avere intenzione di uscire in mare con la barca nonostante il mare agitato e la navigazione pericolosa, Donata non ha esitazione e gli chiede di portarla con sé, attirata dall’idea di una sfida che ponga in palio la vita stessa.

Nel secondo atto si viene a sapere che la barca ha fatto naufragio, e che i due si sono salvati per miracolo. Anzi, Donata stava per affogare e Elj l’ha salvata portandola a riva semisvenuta. Quindi, anziché riportarla alla casa dell’amica Elisa, egli la porta a casa propria. Fra i due nasce un intenso amore. Quello di Elj è un amore semplice, ardente, che si accende al solo contatto con l’amata. Quello di Donata, pur non essendo meno intenso, è attraversato dall’immagine dei comportamenti amorosi da lei vissuti sulla scena nell’interpretazione dei diversi personaggi; per esempio, il semplice gesto di scompigliare affettuosamente i capelli dell’amato, così gradito dall’uomo, in lei rievoca scene simili vissute sulla scena, e in questo si sente quasi risucchiata dai personaggi delle commedie, mentre quell’identità che l’amore per il giovane sembrava averle fatto ritrovare, si affievolisce. Fra i due il discorso torna allora sul teatro: Elj vorrebbe vivere con la donna una vita semplice, priva delle regole comportamentali della borghesia, lasciando che la fantasia, l’improvvisazione, la ricerca siano il loro orizzonte di riferimento; non ama il teatro, che lo considera l’esatto contrario del suo modo di intendere la vita, e vorrebbe imporre a Donata di abbandonarlo. Donata tuttavia non può farlo. L’identità scoperta nell’amore si scontra con l’esigenza di sviluppare e far vivere le identità dei personaggi che interpreta; mentre prima di incontrare Elj, Donata non era in grado di trovare la propria identità, e viveva per rendere reali le vite dei suoi personaggi, ora, sentendo crescere dentro di sé l’amore per una persona reale, sente anche il sorgere di una propria identità la quale tuttavia confligge con le identità dei propri personaggi che persistono in lei e sembra che vogliano soffocare la sua nuova ritrovata. Il conflitto riporta nell’animo di Donata uno stato di tensione che sembra non trovare una via d’uscita.

La via d’uscita sarà trovata nel terzo atto. Donata torna a recitare: lo fa come una prova, mettendo a confronto sulla scena le due identità: quella sua propria, sorta dall’amore per Elj, e quella del personaggio scenico. Ma anche Elj dovrà affrontare una prova: dovrà conoscere i veri problemi di Donata, che finora sembrano essergli sfuggiti, e il modo vero di conoscere la donna è quello di sentirne la vita pulsare nel corso della recitazione. Elj di malavoglia accetta la prova, ma non riesce e concluderla. Prima della fine del secondo atto esce disperato. Le parole, i comportamenti di Donata sulla scena riproducono parole e comportamenti che egli ha vissuto con lei nelle intense giornate del loro amore; e non è tollerabile che altri possano ricevere quelle manifestazioni d’amore che egli considera proprie. Elj finisce per fuggire. Non intende né vuole aspettare Donata nell’albergo. Torna nella città ligure dove avevano convissuto il loro amore. Se Donata vuole vivere con lui dovrà lasciare il teatro e raggiungerlo. Donata a sua volta, al termine dello spettacolo si affretta a rientrare per raccontare a Elj di avere superato la prova e che l’identità propria è riuscita ad aver ragione nel suo animo delle identità dei personaggi scenici, e che quindi il suo animo è ora completamente libero. Ma Elj non c’è, se ne è andato, non l’ha aspettata. Donata capisce che non è possibile affidare la propria identità a una relazione nella quale l’altro capo non rappresenta un punto di sicurezza. E così rinuncia a raggiungerlo.

La rappresentazione di cui dispongo è quella del rappresentata al Teatro Valle di Roma nel  1974, con la regia di Giorgio De Lullo e che ha come interprete protagonista Rossella Falk, ripresa dalla RAI e trasmessa nel 1975. Come gran parte delle rappresentazioni pirandelliane degli anni Settanta, la parte del(la) protagonista tende ad accentrare su di sé le emozioni dello spettatore, dando forse un eccessivo rilievo ai sentimenti che si manifestano nel corso della recitazione. Gli altri componenti del cast sembrano quasi oscurati nella loro funzione di contrasto. Anche Ugo Pagliai, nella parte di Elj, pur cercando di imprimere al suo personaggio una forte presenza contro la quale Donata si deve misurare, resta un personaggio di risulta; e in diverse occasioni certe sue sottolineature nel discorso appaiono più frutto di retorica che di vera espressione di sentimenti.

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