SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE, di Luigi Pirandello, 1921.

È forse la più famosa, e anche la più intrigante delle commedie di Pirandello. È il trionfo del teatro nel teatro. Vi sono alcune novelle che hanno qualche rapporto con la commedia. Per esempio una è Quando ero matto…, del 1902, dalle Novelle per un anno, raccolta “Il vecchio Dio”. Un’altra è Personaggi (1906), che non compare in Novelle per un anno, ed è stata pubblicata su un periodico genovese, “Il Ventesimo”. Una terza novella che può collegarsi alla commedia è La tragedia di un personaggio, del 1911, in Novelle per un anno, raccolta “L’Uomo solo”; e infine Colloqui coi personaggi del 1915, ancora in Novelle per un anno, in Appendice. In tutte queste novelle i protagonisti sono personaggi che prendono vita nella mente dell’autore, gli espongono problemi, ascoltano le eventuali soluzioni, discutono con lui, etc. Sono e si comportano come esseri viventi.

Nella commedia questi personaggi diventano reali, si presentano su un palcoscenico dove si stanno facendo le prove per una rappresentazione teatrale, e portano nelle loro persone una tragedia che deve essere rappresentata. Per loro natura questi personaggi non possono farne a meno: sono stati così creati dalla mente di un autore che tuttavia, poi, li ha rinnegati. Ma il rinnegarli non è stato sufficiente per annullarli. Anzi. Essi sono e rimangono vivi. E ciò stimola in loro la necessità di una rappresentazione che si immedesima nella loro vita e che è eterna.
La commedia scritta durante l’inverno 1920-21 andò in scena per la prima volta a Roma, al Teatro Valle il 9 maggio 1921, con la compagnia Niccodemi-Vergani-Cimara-Almirante-Borghesi (Nvcab). La sala era gremita. La reazione del pubblico fu estremamente controversa, con applausi e fischi, addirittura una battaglia fra sostenitori e denigratori, soprattutto alla fine del terzo atto.
L’edizione cui mi riferisco in queste note è la registrazione di quella diretta da Giorgio De Lullo, con Rossella Falk, Romolo Valli, Elsa Albani, e con scene di Pier Luigi Pizzi, rappresentata a Milano, a Roma e in altre città nel 1963-64.

L’inizio ha luogo sul palcoscenico di un teatro. Si stanno facendo le prove per la rappresentazione una commedia di Pirandello, Il gioco delle parti. Siamo al secondo atto. Diversi attori entrano alla spicciolata, discutono fra di loro manifestando reciproca insoddisfazione. Per ultimo entra il capocomico o regista che dà le opportune disposizioni. Mentre il suggeritore legge le didascalie che descrivono la scena dell’atto, silenziosamente dal fondo sulla scena entrano sei personaggi. Sono un signore di età adulta (il Padre), una donna più o meno della stessa età (la Madre), una giovane donna (la figliastra), un ragazzo (il figlio legittimo) e due bambini, un maschio e una femmina. Il regista li guarda meravigliato, e chiede loro chi siano e cosa vogliano. Sono personaggi alla ricerca di un autore, risponde l’uomo che impersona il Padre.
Si apre un contenzioso. In principio il regista vuole liberarsene, li ritiene estranei, li considera pazzi. Ma pazzia è proprio il mestiere dell’attore: interpretare, far vivere personaggi che non esistono, ma che sono reali, dice il Padre. Ed essi qui presenti sono proprio personaggi reali, come li ha immaginati uno scrittore che poi non li ha tradotti in un copione; e quindi sono alla ricerca di un autore che li faccia vivere; potrebbe essere proprio il regista che in questo momento è sulla scena. Sono portatori di un dramma doloroso: scriverne il copione ne rende possibile la realizzazione, farne rivivere la realtà. È quello di cui essi sentono compulsivamente la necessità. E per meglio capire di cosa si tratta occorre che il regista/autore venga a conoscenza dell’antefatto.
Il racconto dell’antefatto avviene a più voci, con contrasti continui fra il Padre, la Madre e la figliastra, e in aggiunta il figlio legittimo, che si rinfacciano in continuazione le diverse responsabilità delle disgrazie che si sono succedute e hanno portato in conclusione alla dolorosa e drammatica vicenda.
Madre e Padre erano sposati, ed avevano avuto un figlio, quello che si definisce il figlio legittimo. La donna tuttavia mostra di intendersi con un dipendente dell’impresa del marito. Ciò determina prima il licenziamento del dipendente, e poi l’allontanamento della moglie, mentre il figlio viene affidato a una balia in campagna. La donna va quindi a vivere con l’amante con il quale forma una nuova famiglia e dal quale ha tre figli. Il Padre si sente solo. Il figlio legittimo, ormai cresciutello non ha con lui praticamente nessun rapporto. Egli cerca di controllare la nuova famiglia della moglie, per aiutarla dice lui, e soprattutto cerca di incontrare la figlia maggiore che ormai va a scuola. Nella ragazzina tuttavia si affaccia una diffidenza istintiva nei confronti dell’uomo che sembra cercarla per motivi non chiari. Ad un certo momento la nuova famiglia si trasferisce in un luogo che rimane sconosciuto, mentre il Padre, orami costretto a una vita solitaria, che definisce triste e malinconica, ha come unico sfogo quello di frequentare case di appuntamenti.
Purtroppo, passati alcuni anni, l’amante della Madre muore, e la Madre con i tre figli torna in stato di grande miseria alla città primitiva dove vive ancora il Padre, che tuttavia non incontra. Per sopravvivere, la donna si adatta a fare un lavoro da sarta, riparando abiti per una signora che detiene una casa d’appuntamenti Madama Pace. Ma queste riparazioni sono solo una copertura. Madama ha adocchiato la figliastra ormai signorina e, col ricatto dei soldi, la utilizza per dar corpo alle frequenze maschili. È proprio in questa situazione che la fanciulla incontra il precedente marito della madre, che come uomo singolo, frequenta questa casa d’appuntamenti. Con questo incontro inizia il doloroso dramma.
Il personaggi vogliono rivivere la scena a favore degli attori. La cosa crea subito contrasti. Gli attori considerano i personaggi dei dilettanti, temono che essi vogliano rubar loro il mestiere. I Personaggi non accettano che la scena sia ricostruita da persone che, per naturale forza di cose, sono solo in grado di riprodurla, ma non di viverla. Si decide quindi che i Personaggi faranno una dimostrazione e gli attori ricostruiranno la scena partendo da quella che i Personaggi rivivranno a loro favore.
La scena deve iniziare con la figliastra nella casa d’appuntamenti dove Madama Pace le fa il solito ricatto. Ma Madama Pace non c’è, non è fra i Personaggi. Essa potrà essere richiamata solo con una ricostruzione molto precisa della scena. E infatti ciò, fra lo stupore generale, avviene. Ma proprio il suo arrivo scatena una reazione di intensa ripulsa da parte della Madre, che nel suo personaggio rivive la profonda sensazione di ostilità contro una persona che le sottrae la figlia offrendola in pasto alla lussuria degli uomini. I due personaggi, che nella realtà vivono i sentimenti anche al di fuori della scena in quanto essi fanno parte del loro essere personaggi, sono incompatibili, ed è per questo che Madama Pace non è presente fra i sei e deve essere richiamata al momento opportuno. La Madre viene allontanata e la scena ha inizio. L’uomo che vuole divertirsi con la figliastra, e che Madama Pace introduce, è proprio colui che era il marito della Madre. All’inizio i due non si riconoscono, e la scena si svolge come normale approccio di un cliente a una donna ospite della casa. A questo punto il regista ferma la dimostrazione e vuole effettuare una prova con gli attori veri. La prova dimostra tuttavia l’impossibilità di essi di ricostruire una scena in cui i comportamenti sono l’espressione esterna di sentimenti interiori. E ciò perché negli attori, in quanto estranei e non personaggi reali, i sentimenti non sono presenti, ma solo ricostruzioni approssimative. La scena allora viene ripresa dai Personaggi e si concluderà con l’abbraccio della figliastra al Padre. A questo punto c’è l’improvviso ingresso della Madre che, riconoscendo l’uomo e vedendo il rapporto che sta per avere con la figlia, emette un urlo lancinante che è quello che la figliastra continua a sentire nella propria testa come momento culmine e puto di partenza di una tragedia. Il regista apprezza molto la scena e decreta su di essa la fine dell’atto.

L’ultimo atto comincia ancora con un contrasto fra il regista e i personaggi. Figliastra, Madre e piccoli si sono trasferiti nella casa del Padre. Il Figlio legittimo si macera chiuso nella sua stanza. Non può sopportare la madre che, avendo avuto tre figli da un altro uomo che non è suo padre, la considera disonorata e per tale ragione si sente disonorato egli stesso. Il bambino piccolo è sgomento e spia ciò che avviene. La madre vorrebbe parlare col Figlio ma in lui trova un muro che la respinge. Il tutto prelude una scena violenta. Ma prima che questa scena si svolga, da parte del regista c’è un tentativo di capire come questi personaggi la vivranno. E il Padre in un monologo che, secondo me, contiene la chiave di lettura dell’opera, parla del rapporto fra illusione e realtà che fa del teatro lo strumento principale per tradurre l’illusione della recitazione nella realtà dei sentimenti che scaturiscono dall’azione. Quello che si vedrà sulla scena è illusione per coloro che la devono costruire, ma realtà per coloro che la devono vivere: i primi sono il regista e gli attori; i secondi sono i Personaggi.
La scena si svolge secondo una sequenza frammentaria nel momento in cui i Personaggi la vivono in funzione del regista. La piccola bambina, felice e incosciente corre per il giardino, ma cade in una vasca piena d’acqua e affoga. Il piccolo, nascosto dietro un albero, spia la sorellina con occhi sbarrati incapace di affrontare la situazione. Fra la Madre e il Figlio legittimo si svolge una scena violenta, perché il Figlio si vuole sottrarre alle spiegazioni della donna, e il Padre cerca invece di costringerlo. Il ragazzo esce di corsa e entrando nel giardino vede con orrore la bambina annegata nella vasca, mentre sente un colpo di pistola. È il fratellino, che si è sparato alla tempia con una pistola ricuperata non si sa dove. La tragedia è compiuta. Il Padre e la Madre disperati tenendo fra le braccia i due bambini morti, escono lentamente di scena seguiti dalla Figliastra e dal Figlio legittimo. Il regista chiude il palcoscenico licenziando gli attori e dando loro appuntamento per le prossime prove.

La rappresentazione diretta da De Lullo è molto forte. I Personaggi risaltano in tutto il loro spessore drammatico, in contrasto con gli attori professionisti che impersonano l’illusione che si deve creare in teatro sulla scena, e lo fanno in modo grottesco e a volte addirittura comico. Si pensi al regista, interpretato da Ferruccio De Ceresa, per il quale tutto è banalmente e facilmente ricostruibile sulla scena e dirige con piglio professionale in ridicolo contrasto con la profondità dei sentimenti dei personaggi; oppure dal primo attore Carlo Giuffré che dice banalità a raffica e, quando è il suo momento, impersona il personaggio in modo grossolano. Profondamente drammatica, e direi superlativa, è l’interpretazione del Padre di Romolo Valli che nei diversi monologhi che esprimono la realtà della vita dei personaggi dà veramente il meglio di sé. Di alto livello anche l’interpretazione della Madre, Elasa Albani, con espressioni di intenso dolore, e quella della Figliastra, interpretata da Rossella Falk, forse un po’ troppo sopra le righe, con le sue sguaiatissime risate che interrompono spesso le banalità del regista e degli attori professionisti, o il suo gridare il dolore per la contaminazione del suo corpo, o l’affetto gridato per la piccola sorellina destinata alla morte nella vasca.

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