LA SIGNORA È DA BUTTARE di Dario Fo, 1966

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Viene portato sulla scena un circo popolato da clown, acrobati, pagliacci e personaggi vari. Siamo sotto un grande tendone con attrezzi diversi, fra cui un grande letto coperto da tende dove giace molto malata la vecchia signora, e alcuni elettrodomestici. Dall’alto pendono cavi per i numeri aerei del circo. Il circo rappresenta l’America, e gli sketch che vi si recitano riproducono gli aspetti più significativi della storia e della cronaca di quel continente che vengono proposti come modello di vita per i popoli dei paesi occidentali. Fo ci avverte subito: questo è un circo senza rete, ossia la realtà degli Stati Uniti ci viene servita come essa è, senza cercare di giustificarne i diversi aspetti, anche i più grotteschi.


La vecchia che si trova nel grande letto (interpretata da Franca Rame), Fo ci informa essere la dirigente del circo. Essa di volta in volta prenderà la parola per sottolineare gli elementi salienti della costituzione americana, elementi dei quali nella pratica non si terrà conto, o se lo si farà, sarà solo per mascherare la logica contraria che guida i comportamenti.
Gli sketch sono numerosi, spesso brillanti fra i primi ci sono gli aspetti grotteschi del consumismo esasperato.
La libertà: un principio inderogabile che comicamente viene esteso addirittura alla scelta di come essere giustiziati quando si è condannati a morte. Ma la libertà è un sillogismo. La libertà deve essere tale da far sì che la libertà venga garantita. L’America è anche un luogo di immigrazione, e proprio gli immigrati sono soggetti alle diverse limitazioni che garantiscono la libertà: non si può essere liberi di essere comunisti, anarchici, omosessuali, obiettori di coscienza, etc.
I vari sketch si susseguono. Notevole quello della grassona che si lamenta dell’incubo di essere perseguitata da un uomo nudo con le scarpe. Lo stesso giullare Dario (i diversi clown hanno il nome dell’attore che li interpreta) è perseguitato dall’incubo dei serpenti e lotta quindi con un tubo che cerca di soffocarlo.
L’America viene rivista in tutti i suoi aspetti più grotteschi: il cambio monetario, associato a ingenti speculazioni. La corruzione. La violenza per le strade e le rapine. La violenza della polizia che non è inferiore a quella dei rapinatori. Gli aspetti più grotteschi, naturalmente nelle dichiarazioni della pubbliche autorità, non sono accettati: la vecchia, ossia la logica cui dovrebbe uniformarsi la vita quotidiana, accusa il profitto indiscriminato di essere la causa della violenza; parla di diritti civili, di quelli della donna. Ma i suoi appelli vengono liquidati come linguaggio paracomunista e così lasciato cadere. La vecchia signora è così da buttare. Nessun diritto invece è attribuibile agli indiani, gli abitanti primitivi di quella terre, che devono essere sterminati per lasciar posto ai bianchi. Comunque la libertà è sempre al centro dell’attenzione: l’esercito ne è il garante, la statua davanti a Manhattan ne è il simbolo.
Il razzismo: lo sketch sul negro che viene subito accusato di aver tentato di violentare una donna bianca solo perché le avrebbe strizzato l’occhio. Viene imputato e trovato innocente, ma ugualmente sottoposto a un tentativo di linciaggio e viene ucciso. L’assassino del negro viene sottoposto a un processo farsa al termine del quale la condanna viene quasi commutata in un elogio.
Sempre fra gli sketch c’è quello della pulci ammaestrate: Il giullare Dario ne piange la morte. Sono state uccise dal deodorante di cui gli umani si cospargono. L’esercito e il potere sono delusi. Le pulci avrebbero potuto essere uno strumento per mantenere la pace nel mondo: diffondendo le pulci la popolazione dei paesi ribelli sarebbe troppo impegnata a grattarsi a causa dei loro morsi per pensare all’indipendenza e quindi alla rivoluzione. Se le pulci sono morte, si possono mandare i gorilla, come fonte di pulci. Ovviamente è il riferimento all’imperialismo che si avvale di strumenti da una parte che addormentano la popolazione (soprattutto la diffusione della droga) e dall’altra di strumenti di repressione interna, come le dittature militari.
Nel secondo atto i riferimenti all’imperialismo americano sono più espliciti e si riferiscono soprattutto alla storia di Kennedy e Johnson, dal ’63 al ’68: dal tentativo di invasione di Cuba all’invasione del Vietnam, all’assassinio di Kennedy. La vecchia è morta, buttata, al suo posto c’è una nuova padrona del circo, fresca, giovane, tutta vestita di bianco, un’autentica colomba. Compare una scala per parlare dell’escalation (ovviamente quella militare, che ha caratterizzato tutto quel periodo); ci sono allusioni allo sbarco nella baia dei Porci a Cuba e il disastro cui è andata incontro la CIA; all’invasione del Vietnam, con l’addestramento dei Marines; ci sono allusioni all’omicidio di Kennedy (la giovane signora tutta bianca); la fantasiosa ricostruzione della commissione Warren, con al centro il percorso comico del proiettile che avrebbe ucciso il presidente; l’assassinio del supposto assassino di Kennedy (una specie di ricostruzione shakespeariana dell’uccisione di Cesare), e finalmente la pseudoelezione di Johnson alla presidenza; sempre la vecchia signora che questa volta non è più la bianca colomba, ma un nuovo soggetto vestito da cowboy texano. Ora si può fare senza esitazione la guerra al Vietnam; e si reclutano sempre più militari (sketch della visita di leva a un feto ancora nel ventre materno). Accanto alla guerra ha sempre più spazio la pubblicità per cui pubblicità e informazione si intrecciano nei mezzi di comunicazione. La guerra è condotta dai giovani americani: sketch della mamma che accompagna il figlio in guerra e lo accudisce come se fosse un bambino. Alla fine però questi giovani muoiono, spesso addirittura per fuoco amico, etc.
Intanto l’ipocrisia della civiltà americana continua a estendersi. Quella del Vietnam non è una guerra di conquista ma un tentativo degli americani di liberare paesi, soprattutto quelli poveri del terzo mondo. Ma per ottenere aiuti essi devono aiutarsi. Nulla viene fatto per nulla. Ma, come è noto i paesi del terzo mondo non si aiutano, e così gli aiuti non sono più tali e diventano repressione.
E così la storia degli USA continua. Ma il finale ci rivela un mistero: il diversi presidenti che si sono succeduti alla fine sono sempre la stessa persona, che si presenta con una maschera diversa di volta in volta, e fa sempre gli stessi i discorsi, presenta gli stessi programmi, ma svolge la stessa repressione. Nulla cambia mai sotto il tendone del circo America.

Lo spettacolo è prima di tutto molto datato e molto ideologicamente impostato. Gli sketch sono in larga misura abbastanza noiosi. Alcuni sono brillanti, me nessuno regge a una seconda visione. Lo scenario nel suo insieme è ricco, variato, e Dario Fo è sempre il grande attore che conosciamo; riesce a rendere divertenti anche sketch di scarso contenuto comico o di per sé scarsamente interessanti. La Franca Rame in questo lavoro è un attimo sotto tono. A parte lo sketch sulla grassona, nelle vesti della vecchia signora che cambia continuamente veste è molto limitata. Tutto sommato non è uno dei lavori migliori di Fo, almeno in questa fase della sua attività di ricerca (metà-fine degli anni Sessanta).

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