DI LÀ DAL FIUME E TRA GLI ALBERI (Across the River and into the Trees), Ernest Hemingway, 1950

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Si tratta del primo romanzo scritto da Hemingway dopo Per chi suona la campana. Sono passati 10 anni dalla stesura del suo capolavoro. L’uscita del romanzo, in verità molto attesa, ha provocato grandi discussioni in seno al mondo della critica e delle persone che si sono occupate della vita e dell’opera di Hemingway. Il romanzo è chiaramente autobiografico nel senso che il protagonista, il colonnello Richard Cantwell, è stato da tutti identificato nello stesso Hemingway, e le vicende narrate sono vicende che notoriamente in grande misura egli stesso ha vissuto, a partire dall’intenso amore che egli in quel periodo, i primi anni Cinquanta, egli ha provato per una contessa veneziana, Adriana Ivancich, che nel libro assume il nome di Renata.


Gli eventi si svolgono a Venezia e dintorni, e testimoni ne sono, oltre alla laguna di Caorle, anche l’Hotel Gritti e l’Harry’s Bar, due luoghi veneziani che proprio in seguito a questo romanzo sono assurti a fama. Ciò che viene narrato ha dato la stura a molti pettegolezzi, soprattutto fra le persone che vi si sono riconosciute, compreso l’accenno a un amplesso fra Richard e Renata nel corso di una gita in gondola. Per cercare di evitare malumori e smentite, Hemingway si è sforzato di definire i fatti narrati un romanzo e non una cronaca di eventi di cui egli sia stato protagonista, e in apertura ha creduto bene di mettere l’avvertimento: «Data le recente tendenza a identificare i personaggi della narrativa con persone reali, ritengo opportuno dichiarare che in questo volume non vi sono persone reali: tanto i personaggi quanto i loro nomi sono fittizi. I nomi e le designazioni dei reparti militari sono fittizi. In questo libro non sono rappresentate persone viventi né reparti militari esistenti.» Inoltre è importante rilevare che, proprio per la localizzazione tutta italiana degli eventi, e per i personaggi italiani, Hemingway si è opposto a che il romanzo venisse pubblicato in Italia, almeno finché egli fosse vivo. Anche la reazione di Mary, la quarta e ultima moglie di Hemingway, nei riguardi di chi insisteva per avere maggiori informazioni su fatti che riguardavano lo scrittore in qualità di protagonista, rispondeva seccata che il libro era un romanzo e non una cronaca giornalistica, e che quindi tutti i personaggi e gli eventi dovevano essere recepiti strettamente all’interno dei fatti narrati, senza cercare inutili e inesistenti identificazioni con la vita reale.
Quello comunque che mi interessa, non sono tanto i pettegolezzi che hanno seguito la pubblicazione del romanzo e le querelle su chi fossero le persone reali che hanno fatto da modelli ai personaggi del romanzo. Non è questo il problema che mi ha interessato, bensì l’osservare come anche uno scrittore di grandissimo valore come Hemingway, possa trovare momenti di stanca. E la cronaca ci tramanda che questi momenti si siano prolungati per più di una decina d’anni dopo il capolavoro di Per chi suona la campana: anni in cui lo scrittore non ha prodotto pressoché niente e il risultato della ripresa dell’attività si è dimostrato francamente deludente.

Alla sua uscita, e anche successivamente, il romanzo non è piaciuto. I critici l’hanno trattato molto male, ma anche le vendite hanno accusato un flop. La scrittura, se paragonata a quella vivace e piena di movimento, di alti e bassi, di chiaro-scuri, di momenti di tregua alternati a momenti di emozionante azione prima di tutto di Per chi suona la campana, ma anche di altri romanzi, in particolare Addio alle armi, qui appare piatta, rigida, a senso unico. Il rapporto amoroso che sta alla base dei due romanzi citati sopra, in Di là dal fiume in mezzo agli alberi sembra statico, affidato a una ripetizione continua (e probabilmente non necessaria) dell’espressione “Ti amo”, o la frequente richiesta di essere baciati. Il rapporto amoroso fra i due finisce di apparire quasi claustrofobico. Anche la continua sottolineatura della differenza di età, lui quasi cinquantenne, lei appena diciannovenne, non apre prospettive particolari, non stimola la curiosità di capire quali siano i reali sentimenti e le reali differenze che diano luogo all’insorgenza di tali sentimenti.
I due li troviamo mentre all’Harry’s bar bevono il solito “martini molto secco”, o pranzano al ristorante dell’Hotel Gritti dove un capocameriere grande amico di Richard serve loro cibi prelibati preparati con una cura unica, e vino particolarmente raffinato; oppure li ritroviamo poco dopo nella famosa gita in gondola o ancora al tavolino di un bar, etc. Le conversazioni fra i due occupano gran parte del romanzo: si tratta, oltre alle solite effusioni di cui si è detto, di scambi di regali, come il ritratto di lei che dovrebbe accompagnare la lontananza forzata del protagonista, o i due smeraldi ereditati che Renata gli dona affinché siano tenuti tasca e stretti alla ricerca di conforto dalla mano mutilata, mano che la donna desidera spesso tenere fra le sue come per far propria una specie di identificazione fisica, mentre gli chiede di raccontarle episodi di guerra cui egli ha partecipato; o il piccolo negretto di ebano tempestato di pietre preziose.

Come cornice al rapporto fra i due amanti, nel romanzo compaiono i racconti di guerra, sia durante la prima guerra mondiale nella quale Richard era tenente e ha subito la grave ferita di cui porta ancora le conseguenze; sia quelli più recenti della seconda, quando in qualità di comandante di un reggimento gli è capitato di dover eseguire ordini assurdi che hanno avuto come conseguenza la perdita di un grande numero di uomini, cosa che gli è costata la degradazione da generale a colonnello; oppure le occasioni in cui egli stesso si è trovato nelle condizioni di dover uccidere degli uomini, cosa che, se per un soldato è considerata naturale, per un uomo finisce di incidere sulla coscienza. E Richard, ci fa capire il romanzo, è molto più un uomo che un soldato.
Oltre ai racconti di guerra, Hemingway si diffonde a descrivere Venezia e il territorio che la circonda: i paesini come San Donà di Piave o Fossalta, dove appunto aveva subito la grave ferita; il panorama della laguna, dove si vede Torcello, col suo bellissimo campanile, Burano, isola sovraffollata, Murano, costituita da decine di isole, e infine Venezia vera e propria. E, una volta giuntovi, ci farà percorrere il canal grande, ammirare ponti e palazzi sulle sue rive, le viuzze che conducono nel cuore della città, le piccole piazze, le chiese, etc. Queste descrizioni hanno in certo senso caratterizzato il romanzo che è stato considerato un po’ come il romanzo di Venezia.
Il romanzo si apre e si chiude con una battuta di caccia alle anatre. All’inizio, Richard, proveniente da Trieste, dove è di stanza in quanto ufficiale americano, quindi dell’esercito d’occupazione, in viaggio per Venezia per incontrare Renata, si ferma sulle rive della laguna di Caorle. In chiusura, Richard, dopo aver preso congedo dalla contessa, prima di tornare a Trieste, accetta l’invito di amici per una nuova battuta di caccia. Ma proprio in questa circostanza la cardiopatia ischemica dalla quale è da tempo afflitto, tende a intensificarsi e compaiono crisi stenocardiche a seguito delle quali, mentre è ancora in viaggio, muore.

Il romanzo, come d’altronde tutti i suoi romanzi che ho finora letto, hanno un intenso sentore di morte: la morte in guerra, la morte nella corrida, la morte nella caccia nella foresta, e qui la morte come destino di un amore che non ha prospettive, ma che non può finire solamente per diverse destinazioni dei due protagonisti, e quindi non può concludersi con la morte. Proprio la morte come i racconti di guerra, avidamente richiesti da Renata e raccontati con poco entusiasmo da Richard fanno presagire.

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