MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO, di Dario Fo, 1970-87

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12 dicembre 1969. Nel corso del pomeriggio, poco dopo le 14 e 30, una bomba fatta esplodere all’interno della banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, provoca la morte di 17 persone e il ferimento di 88. Nello stesso giorno, altre bombe esplodono o sono state predisposte a Milano e a Roma, con altri morti e feriti. Si tratta di una svolta terroristica che, da una parte sembra collegarsi a una serie di attentati dinamitardi avvenuti negli anni passati di cui alcuni sui treni, e dall’altra conclude in modo sanguinoso la stagione delle contestazioni studentesche emersa nel 1968, in Italia come in altri paesi dell’Europa, e sposta lo scontro politico e sociale su un altro piano.


La gestione della crisi seguita al tragico attentato dimostra come negli ambienti romani governativi democristiani la rivolta studentesca del 68 abbia provocato paura e arroccamento sulle posizioni che gli studenti, e poi non solo loro, contestavano. La prima interpretazione data alla strage è che essa non fosse altro che l’espandersi agli estremi limiti del terrorismo di una contestazione che veniva giudicata “violenta” grazie alle occupazioni delle università, alle manifestazioni di piazza, ai sit in, etc. Quindi, la strage di piazza Fontana dove avere una matrice che non poteva essere che di “sinistra”. La prima cosa da farsi, da parte degli organi inquirenti, è stata quella di spingere le indagini in quella direzione. L’obiettivo più semplice e ovvio sono gli anarchici. A Milano esiste un circolo anarchico nei pressi del ponte della Ghisolfa, i cui aderenti vengono arrestati. L’ordine è quello di essere severi, non lasciarsi commuovere, e procedere con decisione. Occorre dimostrare al di fuori di ogni ragionevole dubbio la loro compartecipazione agli attentati e quindi chiudere una stagione assai difficile per il potere democristiano vigente in quel periodo. Deve essere dimostrato che la sinistra, da sostegno della contestazione di strada quale fino a quel momento è stata, ha fatto un salto di qualità entrando in una logica terroristica e quindi sanguinaria. Un’ottantina di persone vengono portate in questura e interrogate. Dal 12 al 15 dicembre è un lavoro immane. Alcuni vengono rimandati a casa, altri vengono arrestati e portati in carcere. L’ultimo a essere interrogato, il giorno 15, almeno 24 ore dopo il tempo legalmente consentito per il fermo di polizia, è Pinelli, un anarchico intellettuale, che gestisce una libreria. Assieme agli anarchici milanesi, vengono arrestati anche anarchici romani del circolo 22 marzo, fra i quali c’è anche Valpreda.
Nella notte fra il 15 e il 16 dicembre, poco dopo mezzanotte, Pinelli muore cadendo dalla finestra del quarto piano della questura di Milano.
Questo evento apre in seno all’opinione pubblica un grande sconcerto in merito a come si sia iniziato ad indagare sull’attentato e sui metodi adottati dalla polizia. I trionfalismi sull’efficienza della polizia trasmessi dagli organi di informazione vengono respinti. La morte di un interrogato in un ufficio della questura in circostanze che appaiono subito molto oscure allarma l’opinione pubblica e in primo luogo tutti quei movimenti di sinistra che sono stati a fianco o hanno guidato il movimento studentesco. Si è pensato subito a un assassinio. Inutilmente la polizia ha cercato di rivolgere l’evento a favore del proprio modo di procedere: nelle interviste rilasciate a stampa e televisione, la tesi ufficiale era che si trattava di suicidio e che questo suicidio era la riprova evidente, che Pinelli fosse responsabile delle bombe e quindi, implicitamente, una confessione. Ma questa tesi è durata pochissimo. Indagini parallele subito portate avanti da gruppi di sinistra, parlamentari, giornalisti indipendenti etc. hanno dimostrato che questa tesi non poteva reggere e che fosse necessaria un’inchiesta per valutare l’operato della polizia, e soprattutto del commissario Calabresi e dei suoi uomini, e la loro responsabilità nell’accaduto.
Si è aperta pertanto un’inchiesta in seno alla magistratura che ha portato a una conclusione diversa da quella sostenuta dalla questura in un primo tempo. La caduta non era da imputarsi a suicidio ma da considerarsi accidentale. Cioè Pinelli sarebbe precipitato perché, dopo essersi avvicinato alla finestra, sarebbe stato preso da malore e precipitato senza che nessuno sia potuto intervenire in tempo per fermarlo. I tentativi di salvataggio compiuti dai poliziotti presenti nella stanza sarebbero andati a vuoto a cause della repentinità dell’accaduto. Una cosa importante comunque risultò dall’inchiesta: il commissario Calabresi nel momento della caduta di Pinelli non era nella stanza, in quanto si era recato dal questore Guida per portargli i verbali dell’interrogatorio che Pinelli aveva appena firmato.

Il lavoro teatrale di Dario Fo parte proprio dall’analisi dei risultati dell’inchiesta del giudice D’Ambrosio sulla morte di Pinelli. A questo punto è superfluo raccontare eventi che credo siano a conoscenza di tutti. L’estraneità di Pinelli, l’arresto di un altro anarchico, Valpreda, che viene ufficialmente considerato il responsabile della strage e considerato da tutta la stampa e gli altri mezzi di informazione “il mostro”; la suo successiva assoluzione e successivamente l’indirizzo delle indagini non più verso il movimento anarchico, ma verso i movimenti di destra, Ordine Nuovo in particolare (arresto di Freda e Ventura, 1971); infine l’assassinio di Calabresi (1972), che una parte del movimento di sinistra ha continuato ad accusare come il responsabile primo dell’assassinio di Pinelli. Fra corsi e ricorsi, il processo alla ricerca dei colpevoli della strage di Piazza Fontana è andato avanti per qualche decennio, finché 45 anni dopo l’evento ancora nessun colpevole è stato individuato con certezza. Il processo per l’assassinio di Calabresi, anche questo prolungatosi oltre 13 anni, si è concluso con la condanna definitiva di Pietrostefani, Soffri, Bompressi e Marino, tutti aderenti al movimento di Lotta Continua.

Fo, nel suo lavoro teatrale ricostruisce con documenti, le indagini che hanno portato all’archiviazione da parte del giudice D’Ambrosio in merito all’accusa di eventuali responsabilità della questura per la morte di Pinelli.
Il lavoro inizia con la presentazione di Fo come persona affetta da pazzia, che viene interrogata in questura da un commissario. La principale mania di Fo-matto è quella di amare i travestimenti nei ruoli di persone diversissime e di fingere di svolgere le loro attività. Una delle professioni più ambite dal matto è quella di giudice, per il gusto di incastrare imputati e condannarli. Mentre il matto-Fo è sottoposto all’interrogatorio, viene a sapere che sul tavolo del commissario che lo interroga ci sono i documenti conclusivi del non luogo a procedere da parte della magistratura verso i funzionari della questura in merito alla morte di Pinelli. E viene anche a sapere che da Roma è stato inviato un magistrato superiore per verificare la correttezza di questi atti e riorganizzare la questura di Milano dopo il grave incidente.
Così egli si traveste da questo alto magistrato, ed esamina i documenti processuali riproducendo quelli che sono stati gli interrogatori cui sono stati sottoposti Calabresi e i suoi uomini. In tal modo fa emergere tutte le contraddizioni che escono dalle loro risposte: si contesta ad esempio, che durante l’interrogatorio di Pinelli, gli è stato contestato di essere un ferroviere anarchico e quindi probabilmente l’autore di precedenti attentati avvenuti nei treni. Un’altra contestazione, ammessa dai funzionari, è un trucco cui la polizia ricorre per cercare di mettere in contraddizione l’interrogato: la comunicazione di una (falsa) confessione da parte di un altro arrestato anarchico, Valpreda, che avrebbe attribuito agli anarchici diversi attentati avvenuti. Secondo alcune risposte, Pinelli, davanti a questa falsa confessione, sarebbe stato colto da sgomento e si sarebbe precipitato dalla finestra. Ma secondo i tempi registrati nell’interrogatorio, la falsa confessione di Valpreda sarebbe stata effettuata verso le nove di sera, mentre la caduta nel vuoto è avvenuto pochi minuti dopo la mezzanotte. Altre contraddizioni emergono dalle modalità descritte: il Commissario Calabresi era assente in quel momento, quando Pinelli con una mossa brusca si avvicinò alla finestre e si gettò nel vuoto. Uno dei presenti cercò di impedirlo, trattenendolo per un piede del quale gli rimase in mano una scarpa; ma risulta che il giornalista che vide il salto di Pinelli avesse testimoniato che il cadavere indossava entrambe le scarpe. Altra contraddizione era nello stato della finestra. Nel mese di dicembre fa freddo, e presumibilmente la finestra avrebbe dovuto essere chiusa. Come è potuto succedere che Pinelli, dalla sedia dover era seduto, si fosse alzato all’improvviso e buttato da una finestra chiusa? Altra contraddizione: l’ora di chiamata dell’ambulanza. Risulta, dalla analisi dei tempi delle telefonate, che la telefonata all’ambulanza del Fatebenefratelli sia stata fatta tre minuti prima della caduta. Come è spiegabile questo? La giustificazione che gli orari della centrale telefonica non coincidessero con gli orari della questura è una risposta plausibile, anche se molto debole. Per finire: la morte di Pinelli nelle prime interviste dei capi della questura alla stampa era stata attribuita a suicidio, dimostrazione questa, secondo gli intervistati, di un’ammissione di colpevolezza da parte di Pinelli. La conclusione del giudice D’Ambrosio è invece molto diversa: parla di morte accidentale. Questo scagiona il personale della questura presente nella stanza di Calabresi, ma non risolve le contraddizioni emerse durante gli interrogatori. Fra le altre cose, si lamenta il fatto che non sia stata fatta un’analisi accurata della traiettoria del corpo durante la caduta: si presume che la traiettoria di un suicidio o di una caduta accidentale siano differenti e ben documentabili. Infine, che non sia stata fatta l’autopsia sul corpo di Pinelli. La presenza di un’ecchimosi aveva fatto pensare a qualcuno che Pinelli fosse stato fatto oggetto di una mossa di Karaté che avrebbe ucciso la vittima, e che per nascondere l’omicidio, il corpo fosse stato gettato fuori dalla finestra.
Tutte queste contraddizioni ed altre minori sono state rilevate in stile Dario Fo ponendo le risposte sul grottesco, e spesso addirittura sul comico, e cercando di far rilevare come le contraddizioni siano più il frutto di una incompetenza, coperta dalle autorità, dei funzionari di polizia che da un piano prestabilito. Nella parte finale del lavoro viene fatta entrare una giornalista, che con domande impietose smaschera molte della contraddizioni che verranno perciostesso fatte venire a conoscenza della gente, e quindi impedita una copertura silente di quello che alla fine viene fatto apparire come un delitto vero e proprio.
In questa direzione è orientato tutto il lavoro di Fo: ineccepibile quanto a fatti rivelati e contraddizioni riscontrate (ancora oggi esse non hanno trovato una risposta adeguata); ma chiaramente schierato per quanto riguarda l’accusa che parte dell’opinione pubblica e anche di molti intellettuali di sinistra ha rivolto a Calabresi, di essere responsabile della morte di Pinelli.

1 Commento a “MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO, di Dario Fo, 1970-87”

  1. Monira Medhat scrive:

    dove la bibliografia dell`origine testo ( Morte accidentale di un anarchico)

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