IL GABBIANO, di Anton Čechov, 1895

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Il dramma comincia con la preparazione di un lavoro teatrale che deve essere eseguito nel parco della villa di campagna dei Sorin. L’autore del dramma è il figlio della grande attrice Irina Nikolaevna Arkadina, Konstantin Treplev. A recitarlo sarà Nina Zarečnaja, giovane fanciulla amata da Konstantin. È figlia di un ricco possidente e, nella vita, vorrebbe diventare attrice. Proprio dal tipo di dramma che dovrà essere recitato emerge il tema centrale del lavoro di Čechov: il contrasto fra una scrittura che si basi sulla rappresentazione della vita quotidiana della gente, che necessariamente viene infarcita di luoghi comuni di facile comprensione per gli spettatori, e la rappresentazione dell’astrazione del sogno dove più che l’intreccio, viene offerta una successione di immagini e l’emozione che le immagini stimolano nelle persone.


Proprio a questo secondo tipo di scrittura si affida la commedia di Konstantin. Ad assistervi sono invitati familiari e ospiti, che prendono posto nel parco, davanti al palcoscenico.
Il contrasto drammatico voluto dal giovane tuttavia finisce per rivoltarsi contro di lui. Già prima di iniziare l’attrice, che ha il compito della declamazione, Nina, lamenta assenza di intreccio e nella recitazione non si senta realizzata; la madre, mentre la recita procede, parla di decadentismo; altri manifestano noia o indifferenza. La commedia non giunge alla fine. Konstatin si sente deluso e la interrompe. Avverte che il suo amore per Nina gira a vuoto, che la fanciulla sembra trattarlo con sempre maggior freddezza. Si rende conto che l‘ambiente che lo circonda non gli riversa alcun interessa, se non perché è il figlio di Irina. Inoltre sente su di sé soprattutto un giudizio di nullità. Si sente un essere mediocre, senza talento, senza futuro. In contrasto, la madre ama sentirsi ammirata, corteggiata, esaltata e non perde occasione per dimostrarlo e per raccontare ai presenti i suoi successi, vantandosene apertamente.
Irina è innamorata di uno scrittore di fama, le cui novelle sono lette avidamente da moltissima gente, Boris Alekseevič Trigorin. Questi, anche se non ne è sposato, vive con lei, la segue in ogni suo spostamento. Nonostante la sua fama di grande scrittore, è una persona semplice, che non ama parlare di sé; sente il bisogno di scrivere, ma si rende conto di essere ben lontano dal valore dei grandi scrittori della passata generazione, come Tolstoj o Turgenev. Anzi, il tempo libero lo trascorre pescando, cercando di stare lontano dalle discussioni sulla forma del romanzo. Le sue storie sono racconti di vicende quotidiane, proprio in quella forma che Konstantin sta cercando di superare. Quello che attira i suoi tanti lettori sono le emozioni che scaturiscono dai luoghi comuni, intrecci che coinvolgono le persone fisiche, il loro incontrarsi e scontrarsi, il loro soffrire e gioire.
Fra le persone che più ammirano i suoi scritti, c’è proprio Nina Zarečnaja, che in un lungo colloquio con lui cerca di scoprire quale felicità possa arrecare lo scrivere, il creare, l’essere osannato dalla gente. E, sull’onda di queste considerazioni, manifesta il forte desiderio di diventare attrice e di raggiungere la gloria; desiderio che alla fine si realizza come innamoramento nei confronti dell’uomo.
Nel dramma gli innamoramenti si intrecciano variamente, e aprono problemi all’interno dalla piccola comunità: Di Trigorin sono innamorate Nina e Irina, mentre Trigorin a sua volta è innamorato di Nina, ma non ha il coraggio di lasciare Irina. Di Nina è innamorato Konstantin, del quale a sua volta è innamorata Maša, la figlia dell’amministratore. Di Maša è innamorato il maestro elementare Semën Semënovič Medvedenko, che non ha alcuna speranza di essere ricambiato. Infine, per completare il quadro, Polina Andreevna, la moglie dell’amministratore è innamorata del medico, Evgenij Sergeevič Dorn, persona molto nota nella zona, vero tombeur des femmes, ma ora, da qual punto di vista, a riposo per raggiunti limiti di età.
Proprio nell’intreccio di questi innamoramenti si sviluppa l’idea di Konstantin di uscire del banale quotidiano. Nina fugge da casa e vive con Trigorin una relazione breve, senza particolari entusiasmi; la sua professione di attrice non decolla e viene ingaggiata solo in piccoli teatri di provincia; Irina continua con i suoi successi, ma il suo rapporto con Trigorin finisce di svilupparsi solo come fra padrona e servo. Maša cerca di strapparsi dal cuore l’amore per Konstantin, che la fa soffrire, e sposa il maestro elementare, nella speranza che la vita coniugale le arrechi quella felicità della quale è costantemente in cerca; ma ciò non accade. Il rapporto col marito e col bambino che ne è nato, la annoia ancora di più, mentre il non sopito amore per Konstantin continua a tormentarla. Infine sembra che Konstantin incominci ad incontrare un certo successo come scrittore. Qualche editore pubblica alcune sue storie. La sua nuova forma sembra prendere consistenza, anche se l’autore viene giudicato ancora immaturo. L’amore per Nina, in lui mai sopito, lo turba sempre di più. Un primo tentativo di suicidio, non ha esito. Successivamente, nella parte finale del dramma, lo vediamo mentre corregge alcuni suoi scritti, e si rende conto che la banalità del quotidiano, evidentemente veicolato dal suo infelice amore per Nina, si insinua nel suo modo di scrivere. Ciò lo costringe a dolorose correzioni. Proprio nel corso di una di questa crisi creative, Nina, che per lungo tempo ha fatto di tutto per tenersi lontano dal giovane, entra nel suo studio, e ha un colloquio con lui. Konstantin ha un fremito di gioia, l’abbraccia, la stringe, vuole baciarla, ascolta il racconto delle sue infelicità, e si illude che questo incontro sia un ritorno della fanciulla a lui. Ma non è così. Si tratta solo di uno sfogo all’infelicità che a Nina provoca l’amore mai sopito per Trigorin. A questa conclusione la donna fugge, mentre Konstantin questa volta, davanti al fallimento dell’amore che gli sta distruggendo la nuova forma che stava cercando di inseguire, si uccide.

Il dramma, come Ivanov, si basa sulla incapacità del protagonista di assumere un ruolo definito nella vita. In Ivanov la depressione nasce dalla sua incapacità di contrarre un rapporto positivo con le donne che ama e che lo immerge in una forma di rimorso che non ha vie d’uscita; in Konstantin il dramma riguarda il rapporto fra un amore infelice, non corrisposto, e la ricerca di una via, come scrittore, che lo faccia uscire dalla banalità dei racconti che hanno per base la vita quotidiana e che abbiano come protagonisti personaggi stereotipi che manifestano sentimenti come luoghi comuni. Anche in questo caso, come in Ivanov, la disperazione è il risultato di una ricerca infruttuosa, e il suicidio diventa la conclusione inevitabile.
Il titolo, Il gabbiano, deriva dal fatto che Nina, ammirando il lago sulle rive del quale si svolge la vicenda, immagina la propria libertà e la paragona a quella di un gabbiano. Konstantin, nel momento in cui capisce di essere abbandonato da Nina, uccide proprio un gabbiano e glielo porta, quasi un avvertimento.

Nell’edizione che ho visto, rappresentata dalla RAI, devo ammettere che ho osservato una più aderente recitazione ai contenuti del dramma, rispetto alla rappresentazione di Ivanov. Gabriele Lavia, nella parte di Konstantin ha dato un’interpretazione molto dolorosa del suo personaggio, a volta forse anche un po’ al di sopra delle righe. Molto elegante e ben recitata la parte di Irina da parte di Anna Proclemer; un po’ al di sotto, secondo me, la Nina di Ilaria Occhini che mi ha dato una sensazione di rigidità nella prima parte, quando manifesta entusiasmo per Trigorin e per la sua futura vita d’attrice, e alla fine quando, nell’ultimo colloquio con Konstantin, entra in un’atmosfera da tragedia. Nessun rilievo alla parte di Trigorin, interpretato da Giancarlo Sbragia.

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