DESERTO, di Jean-Marie Le Clézio

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Il libro comincia con una grande migrazione. Un popolo, i nomadi del deserto, gli uomini blu, i Sahrawi, provenienti da ogni parte, in lunghe carovane composte da uomini, donne bambini, al seguito di guide coraggiose, camminando per giorni, mesi, calpestando la sabbia sulle dune, bruciati dal sole implacabile, intirizziti dal freddo della notte, arrivano nella valle Saguiet El Hamra. Siamo nel 1910. Eserciti europei, francesi, hanno deciso di sottomettere l’Africa settentrionale. I popoli liberi non ne vogliono sapere, ma non hanno la forza di ribellarsi. Non hanno altra scelta che scappare. Anche i guerrieri, gli uomini valorosi ai quali è affidata la difesa del loro popolo, non hanno più possibilità. Le loro armi sono vecchie carabine, o le solite lance. Nulla da fare contro eserciti ben armati, disciplinati, comandati da professionisti della guerra. Nella valle di Saguiet El Hamra, circondata da alte montagne, c’è un terreno che potrebbe essere coltivabile, ci sono pozzi d’acqua; c’è una grande città, Smara; ci si può difendere dall’ardore del sole del giorno al riparo della grandi tende, e dall’intirizzimento della notte accendendo fuochi. Gli accampamenti attorno alla città crescono di numero. Ci si concentra in quella valle. Lì, nella città vive il grande Sceicco Ma El Ainin, colui che l’ha fondata,  e che da tutti è considerata una guida spirituale e materiale. E vivono i suoi figli, Saadbu e Larhdaf, ma soprattutto Ahmed ed Dehiba, colui che presto sarà il vero re del popolo del deserto.

Nour, il giovanetto, figlio della guida di una delle carovane, gira per l’accampamento, entra nella città, spia gli uomini che si riuniscono a discutere e decidere assieme al Grande Sceicco e ai suoi figli; ne ammira la preghiera; prega egli stesso; nel corso di questi incontri conosce il Ma El Ainin che lo incanta, ma viene anche sapere un’altra cosa: la valle di Saguit El Hamra non è la meta finale. È il luogo del concentramento. Un viaggio assai più lungo li aspetta, verso nord, verso le terre fertili dove scorrono fiumi, dove si potrà vedere il mare, dove gli eserciti coloniali non sono ancora arrivati. Occorre fuggire gli invasori europei.

E un bel giorno il popolo del deserto, i sahrawi, dopo feste, cerimonie, preghiere, parte: davanti i guerrieri guidati dai figli della Sceicco, dietro i civili, le donne, i bambini, gli invalidi, insomma tutti gli altri.

Il libro segue le vicende di questa migrazione di massa, le sue sofferenze, le sue speranze; Nour, il bambino, rappresenta un po’ gli occhi di questa interminabile spedizione, e proprio perché ha gli occhi, fa da guida ad un guerriero rimasto accecato in uno dei tanti scontri. A ogni sosta c’è la speranza di essere arrivati, ma ogni sosta si presenta solo una tappa arida, in un luogo desertico, dove la ricerca di cibo si fa sempre più difficile, il caldo sempre più massacrante, e i morti fra i più deboli sempre più numerosi. Finalmente la marcia sembrerà giunta alla meta, alle regioni ricche. Le popolazioni locali, dapprima accoglienti, diventano ostili quando si rendono conto di avere di fronte un intero popolo alla ricerca di una luogo dove stare, dove creare famiglie, discendenze, orgogliose nazioni. La ricerca allora continua, il Grande Sceicco giunge alla fine della vita, ma alla fine giunge anche il popolo del deserto e la sua libertà. Nelle battaglie di Uadi Tadla, di Tiznit e di Agadir, quello che resta del popolo dei sahrawi viene distrutto e disperso, frutto dell’estendersi delle aggressioni colonialistiche francesi e spagnole che finiscono per occupare tutti i territori del Sahra occidentale e non permettono la sopravvivenza di popolazioni libere e indipendenti.

Il racconto di questa grande e disgraziata migrazione è intercalato da un altro racconto, quella di una bambina, Lalla. Sono ormai passati tanti anni dalla grande migrazione, e Ma El Ainin è solo il ricordo di un mito, che si perde nella notte dei tempi. Lalla è una bambina felice, che vive in un villaggio ai bordi del deserto, a casa della zia Aaman e dei suoi cugini. Passa le giornate a percorrere le dune, a godere del vento che soffia libero e impetuoso, ad ascoltare il continuo e dolce mormorio del mare, a correre sulle aride pianure rocciose, ad ammirare i monti che si ergono in lontananza. La sua vita è il simbolo della libertà, e proprio il primo lungo capitolo che ci fa conoscere Lalla ha come titolo “La felicità” come se felicità e libertà fossero una sola cosa.

Lalla nel deserto trova amicizie che le riempiono la vita: l’anziano pescatore Naman, che racconta storie meravigliose, come la storia di Baalabilou; il giovane pastore Hartani, nero, sordomuto, che conosce tutti i luoghi più sperduti del deserto, che sarà il suo punto di riferimento costante, e dal quale avrà un figlio; Es Ser, il personaggio misterioso che sembra venire dal cielo, che nessuno conosce tranne lei, e che viene a farle visita e portale il coraggio laddove nessuno ha il coraggio di arrivare; o l’uomo blu, Al Azraq, che sapeva comandare al vento e alla pioggia, il grande guerriero che aveva abbandonato tutto per vivere come eremita, aiutare la gente che aveva bisogno e punire gli straffottenti, il mito del passato che ritorna; o infine il bianco gabbiano che viene dal mare, che domina il cielo e che Lalla affascinata chiama Principe.

A Lalla viene proposto-imposto un marito. Lalla non vuole. Fugge in Europa, a Marsiglia, e inizia una nuova vita: il titolo di questo capitolo è La vita fra gli schiavi. Lalla gira per le vie di Marsiglia, come girava nel deserto: anche qui c’è la libertà, ma una libertà che non ha nulla a che vedere con quella del deserto: una libertà a rischio dalla fame, dalle violenze degli uomini, dal pericolo della polizia. Nel panorama di questa libertà non ci sono le dune, il vento, la luce, l’azzurro del cielo. Ci sono strade buie e umide, case opprimenti, luci al neon, mendicanti sui marciapiedi, lavoro degradante. Anche qui Lalla trova un amico, un giovanissimo Rom, Radicz, un piccolo ladro, che insegna a Lalla a muoversi per la città senza essere vista.

La vita di Lalla trascorre in questo ambiente degradato finché un fotografo non ne nota la bellezza e la lancia su rivista nazionali e internazionali. Potrebbe essere la fortuna. Ma Lalla non l’accetta. Dentro di sé ha una vita, la figlia del nero sordomuto pastore Hartani, e questa vita deve poter godere della libertà e della felicità di cui nell’infanzia ha goduto lei e gode il padre. C’è una sola cosa da fare: tornare al suo paese, in Africa, ai confini del deserto, dove il figlio potrà nascere ed essere un uomo libero.

I due piani lungo i quali corre il libro, apparentemente indipendenti, in realtà si rivelano essere le due facce di unica medaglia: una civiltà fatta di gente povera, con la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria fede, la propria libertà, alle prese contro l’invadente aggressività degli europei. Questa aggressione è quella dell’invasione da parte di eserciti e dei massacri attuati su chi abita la propria terra da libero; ma anche lo sfruttamento, l’umiliazione e ancora la schiavitù di chi, morto di fame, emigra e cerca un approdo in Europa.

Le Clézio, anche in questo libro come in altri, alcuni dei quali ho letto, è profondamente interessato a questi problemi, e li pone al centro dei suoi romanzi o comunque dei suoi scritti. La ricerca, la scoperta e l’ammirazione di questi culture espresse da popoli poveri, deboli, incapaci di resistere all’avidità del mondo europeo-occidentale. In questo libro la civiltà di cui Le Clézio si occupa e che diventa la protagonista del suo libro è quella dei popoli che vivono ai margini del deserto, nel Sahra occidentale, i Sahrawi, quelli che hanno fondato la città di Smara. Lo scrittore ne narra la loro civiltà nel fiore della libertà, nel percorso di una faticosa migrazione, negli ultimi tentativi di sopravvivenza come popolo e come nazione; ma anche nella vita che i loro discendenti, ormai non più nazione, ma sempre orgogliosi individui, cercano di non lasciar soffocare dalla brutalità delle città europee, dalla miseria cui vengono costretti.

Il libro è ricchissimo di descrizioni: sia di quelle terribili della interminabile marcia attraverso il deserto del popolo durante la migrazione, sia di quelle luminose della vita di Lalla nel suo villaggio ai confini del Sahra, sia di quelle tenebrose e spesso angoscianti della vita di Lalla in una città se non ostile, certamente estranea. Se mi posso permettere una critica in un libro altrimenti di grandissimo interesse, forse c’è un eccesso di queste descrizioni che in certi momenti rendono la lettura un filino pesante. 

 

Leggi la Lezione di J-M Le Clézio alla consegna del premio Nobel (Dicembre 2008) 

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