Penthesilea di Schoeck al Maggio Musicale Fiortentino

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Stimolato dall’entusiasmo di alcuni amici del NG sono andato a vedere quest’opera di Schoeck. Intanto devo esprimere il mio ringraziamento a questi amici, che mi hanno consentito di conoscere un’opera molto bella e di grandissimo interesse, e ad una rappresentazione di grandissima intelligenza ed efficacia.

L’argomento dell’opera si basa sul mito del duello sotto le mura di Troia fra la Regina della Amazzoni Penthesilea e l’eroe argivo Achille. Il testo si basa sulla tragedia di Kleist, tuttavia condensato mediante numerosi tagli che ne riducono la lunghezza a circa la metà. Un’operazione all’incirca come quella fatta da Strauss sulla Salome di Wilde.

Nel mito Achille sconfigge Panthesilea uccidendola, e nell’atto stesso se ne innamora. Nella tragedia di Kleist il mito viene trattato più liberamente: Nel corso del duello, entrambi si innamorano repicrocamente; Achille, vincitore, non uccide la regina, ma finge di esserne stato sconfitto. Le Amazzoni infatti non possono concedersi all’uomo di cui sono innamorate, se non dopo averlo sconfitto in duello. La finzione tuttavia dura poco. La ripresa della battaglia fra i Greci e le Amazzoni vede il prevalere di queste ultime, e Achille è costretto a dire a Penthesilea la verità sull’esito del duello. Ciò allontana irrimediabilmente i due amanti. Achille tuttavia non si dà per vinto, e chiede a Penthesilea un secondo duello nel quale l’eroe Greco si presenta disarmato. Ma ormai, Penthesilea presa da esaltazione, non sa fare altro che uccidere l’amante, straziarne il corpo a morsi, e quindi darsi essa stessa la morte.

In questa opera, il sentimento della passione domina il mito, e lo strazio che l’amazzone fa del corpo di Achille simboleggia la violenza di un sentimento che porta alla necessità di identificazione dei corpi, ciò che può avvenire solo attraverso la morte. “Mordere, baciare simili sono a chi ama di cuore”, dirà Penthesilea davanti al corpo straziato di Achille.

La regia di Kupfer è straordinaria. L’intero palcoscenico, il luogo dove si svolge l’azione è rappresentato da una colossale corpo sdraiato, semistraziato, del quale non si vede la testa, le cui mani si tendono come se a loro volta stessero straziando qualche cosa. Il simbolismo è molto chiaro, e richiama il simbolismo di un’altra regia di Kupfer per l’Elettra di Strauss diretta da Abbado (ricordatami dal Vinix), nella quale la scena era occupata da un’enorme statua di Agamennone, della quale erano visibili solo le gambe, accanto alle quali era rotolata la testa staccata, e dalla quale pendevano delle corde che nel corso dell’opera gradualmente imprigionavano i diversi protagonisti al statua del monarca assassinato.

I costumi ci portano in un’atmosfera senza tempo, come Kupfer, correttamente, immagina di collocare il mito; lo stesso tipo di logica, ad esempio, la troviamo nel Ring diretto da Barenboim a Bayreuth. I movimenti delle masse sono frenetici sulla scena, in modo da ricostruire la tensione dei momenti acuti della battaglia. Il tutto esprime in termini visivi quello che la musica suggerisce. Non vi sono azioni vere e proprie, duelli o scontri: ma solo un agitarsi delle amazzoni, e volta volta dei guerrieri greci, che si muovono convulsamente, si riuniscono, si disperdono, escono e rientrano nella scena: insomma descrivono coi i corpi e i movimenti tutta l’agitazione, la frenesia, la tensione che ci può essere in una situazione di battaglia.

La musica. Quello che appare evidente è che tutta l’opera è impostata sul declamato, che  coinvolge cantanti, coro e la stessa orchestra. Non si apprezzano temi definiti. L’orchestra si esprime mediante una grandissima ricchezza di timbri e ritmi. Il suono è aspro, incalzante, nelle scene di battaglia. Il ritmo è spesso ossessivo, per l’uso frequente di ostinati, che possono occupare anche due livelli: uno di sottofondo che disegna l’atmosfera di base, e uno più descrittivo dei momenti di svolgimento dell’azione, di volta in volta significando attesa pregna di ansia, aggressività nell’imminenza o nelle descrizione dello scontro, terrore per l’approssimarsi del nemico, etc. Oppure, come nel caso del duetto d’amore centrale fra Penthesilea e Achille, la musica assume un tono più lirico, pur sempre nell’ambito della declamazione, che ricorda i duetti di Wagner, ad esempio, nel Tristano. Nella parte finale la concitazione riprende intensa fino all’ultimo duello e alla morte di Achille. Qui c’è una bellissima breve “Trauermusik” quando il corpo straziato di Achille viene portato sulla scena davanti a Penthesilea. Un leggero scandire di un suono dal timbro secco (tamburi mi sembrano, ma con una qualche coloritura) in pianissimo, sostiene una mesta linea melodica suonata dai clarinetti. Questo introduce nel finale, occupato quasi tutto da un lungo monologo della regina davanti al corpo dell’eroe che ricorda molto va vicino il monologo di Salome davanti alla testa mozza di Giovanni.

Dal punto di vista strutturale l’opera sembra quasi configurarsi come una sinfonia classica: un allegro iniziale, un adagio e quindi un allegro che porta ad una coda finale. Nell’opera si possono intravedere stili diversi, da un espressionismo esasperato, al clima isterico dell’Elettra di Strauss, all’atmosferica onirica di ispirazione chiaramente wagneriana del duetto, al canto allucinato di Strauss nella Salome. Ma, pur con questa diversità di richiami a stili differenti, l’opera ha una propria unità interna, un notevole equilibrio dal punto di vista formale, e un’espressione molto personale, in una arcata drammaturgica perfettamente disegnata.

La direzione di Albrecht e la regia di Kupfer si sposano molto bene, e il quadro generale che ne risulta e di grande coinvolgimento e tale da stimolare l’attenzione dall’inizio alla fine. Anche il cast vocale e il coro, con intensa partecipazione, hanno contribuito in modo complessivo a offrire uno spettacolo di grande interesse e fascino.

All’ultima recita, quella cui ho assistito io il pubblico è sembrato essere più numeroso rispetto alla recite precedenti. C’è da sperare che le critiche positive, anche di chi ha visto lo spettacolo, abbiano sollevato la curiosità e richiamato un maggior numero di spettatori. Questa d’altra parte sembra essere il modo giusto per poter portare a conoscenza un repertorio dimenticato, ma ricco di interesse e di bellezza.

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