DON GIOVANNI, alla Scala

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Quest’autunno, almeno per me è stata una stagione all’insegna del Dissoluto, più o meno punito. Un Don Giovanni alla Scala, un Dissoluto assolto sempre alla Scala, un Don Giovanni in Diretta da Baden-Baden in TV. Mi manca il Don Giovanni di Malipiero. Chissà perchè è passato completamente nel dimenticatoio e, come del resto praticamente tutte le opere di Malipiero, non viene più rappresentato.

Viene spontaneo, parlando del Don Giovanni Scaligero, fare un confronto col Don Giovanni di Baden-Baden. Non tanto un confronto qualitativo (tipo di confronto che a me non piace per nulla), ma un confronto relativo al modo di intendere lo straordinario mito del Prometeo moderno. Li ho trovati due modi molto diversi, ma, credo, entrambi plausibili.

In entrambe le rappresentazioni le scenografie sono assai spoglie. Nel DG di Baden-Baden vi sono solo due scene, una per il primo atto e una per il secondo.

Nel DG scaligero la scena è unica: il volume del palcoscenico, immerso in una luce azzurrina, è totalmente privo di arredi, occupato da due enormi parallelepipedi neri che si spostano fondendosi, divergendo, incrociandosi, etc. in modo da creare un movimento continuo in funzione dell’andamento della vicenda.

In entrambe le rappresentazioni l’aspetto registico è affidato soprattutto ai movimenti dei cantanti, alle relazioni interpersonali, al timbro vocale sia nelle arie che nei recitativi, e in parte anche ai costumi. E in entrambe le rappresentazioni, mi sembra che l’ambiente, la realizzazione dell’evento, il grado di espressività e di comprensibilità siano molto ben riusciti.

Il Don Giovanni di Baden-Baden, (Johannes Weisser), nella regia di Vincent Boussard, è un fighetto che veste in modo improponibile, che corteggia le donne con ipocrita dolcezza. Le donne in un modo o nell’altro ne sono affascinate. Donna Anna (Malin Bystrom) lo odia, ma con moderazione (sarà poi vero?), Donna Elvira (Alexandrina Pendatchanska) ne è sempre innamorata e pronta a cadergli fra le braccia, Zerlina (Sunhae Im), pur piena di scrupoli fa altrettanto… Leporello (Markos Fink) più che un servitore è una specie di segretario, o un amico di quelli un po’ subordinati. La seduzione è frutto di un savoir faire; l’ira, la rabbia, possono insorgere momentaneamente, ma non stanno alla base dei comportamenti. Insomma direi che i personaggi ricostruiscono un ambiente che potrei definire “piccolo borghese”, quasi da vita quotidiana, non certamente eroico, anche se nel finale Don Giovanni ritrova saldo il core in petto e sembra riscattarsi con un gesto di orgoglio.

Da notare che in questa edizione il duetto Zerlina Leporello sostituisce l’aria di Ottavio “Il mio tesoro intanto”, assente nell’edizione praghese, ma presente in quella viennese.

Il Don Giovanni Scaligero (Carlos Alvarez), nella regia di Mussbach, ha invece l’aspetto, il vestito, il modo di comportarsi, la strafottenza, l’arroganza che potremmo attribuire a un coatto, un tamarro, un esponente della mala vita, a un leader malavitoso, che attira (e respinge) le donne con la sua volgarità, la sua prepotenza, il suo aspetto fisico (le spettatrici scaligere ne hanno apprezzato moltissimo il sex-appeal). Leporello è un complice, più assennato, certo, ma comunque succube. Gli altri (Masetto e compagni) sono dei rivali che vanno stroncati con le buone, ma soprattutto con le cattive. La loro opposizione a Don Giovanni ha la stessa arroganza di soggetti malavitosi. Il muoversi sulla scena dei personaggi, i loro costumi, il loro rapporto con le donne portano a questo tipo di ambiente. Già all’inizio, per esempio, la furibonda lite fra Don Giovanni e Donna Anna si conclude, prima della comparsa del commendatore e del duello, in un vero e proprio rapporto sessuale condiviso. Il regista risolve in questo modo una delle più intriganti ambiguità del libretto di Da Ponte e della musica di Mozart… :-)

Oltre alla parte registica, mi pare che anche la parte musicale sembri rispondere a queste due differenti logiche di vedere il personaggio e l’ambiente. A Baden –Baden il personaggio del Don Giovanni è sostenuto da un baritono con la voce chiara; la musica è suonata da un’orchestra piuttosto leggera, le linee melodiche e gli affronti armonici, sia nell’orchestra che nei brani d’assieme, sono molto precisi.

Al contrario il Don Giovanni scaligero è un baritono dalla voce scura; l’orchestra e le voci, magari anche a scapito di qualche precisione, tendono a trasmettere emozione, facendo riafforare ciò che di “romantico” si può trovare nella partitura di Mozart. Il direttore Gustavo Dudamel, che ho sentito per la prima volta, un giovane che è stabilmente alla testa dell’orchestra giovanile venezuelana, ha sentito con grande intensità questo personaggio, malvagio ma affascinante, irruente, pieno di vitalità, sprezzante quanto basta, e la foga della direzione orchestrale fa rivivere in lui queste ambigue ma forti qualità.

I cantanti sono stati tutti all’altezza della situazione: sia la Donna Anna di Carmela Remigio, sia la Donna Elvira di Monica Bacelli (alla prima, quella trasmessa in diretta da radio3, a causa di una infreddatura era stata sostituita da Annette Dasch). Molto buoni anche gli altri: il Francesco Meli di Don Ottavio, la Veronica Cangemi di Zerlina e Alex Esposito come Masetto. E il bravissimo Ildebrando D’Arcangelo nella parte di Leporello.

Applausi convinti hanno concluso l’opera, mescolati a feroci (e per me incomprensibili) buuu alla volta del direttore.

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