La ricerca della felicità, di Gabriele Muccino

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Chris Gardner è un venditore casa per casa, ovvero ambulatorio per ambulatorio, di un apparecchio radiologico, uno scanner, con prestazioni superiori agli apparecchi tradizionali. E’ sposato, ha un figlio, vive in una casa decente. Per mantenere il tenore di vita raggiunto occorrono molti dollari. Le vendite degli scanner hanno alti e bassi, la fatica è improba, le scadenze di pagamenti vari, affitto, tasse, multe ecc. si avvicendano e non a tutte si può far fronte nell’immediato. La moglie è costretta a lavorare, spesso a fare i doppi turni; il figlio viene inviato all’asilo nido, magari di livello medio basso, dove la retta è compatibile, ma l’assistenza lascia alquanto a desiderare. I rapporti famigliari risentono di questa situazione di precarietà. Possiamo dire che la felicità non abita a casa di Chris.

Un giorno Chris si imbatte per caso, davanti all’entrata di una banca, in un tipo dinamico, elegante che scende da una bella macchina rossa: diciamo, quello che sembra essere l’immagine della felicità. Qual’è il mestiere di quel tipo? È un broker, professione evidentemente ben retribuita che permette di raggiungere quella felicità che finora è sembrata sfuggirgli.
Detto fatto: per diventare broker non è necessario alcun titolo di studio imperativo, basta avere il dono di saper trattare con la gente. E Chris è convinto di avere questo dono.
Si mette subito in caccia. Scopre che occorre frequentare uno stage di sei mesi, ma ecco la prima difficoltà: occorre fare una domanda con annesso il curriculum, e poi bisogna essere accettati in mezzo a decine e decine di altri aspiranti; ma essere assunti nello stage, non significa nulla. La frequenza dello stage non comporta alcun stipendio, e comunque non garantisce l’assunzione, che è riservata ad una sola persona per ogni corso.

La situazione sembra presentare difficoltà insormontabili. Ma Chris ha una grande dote, in una società come quella americana: non demorde. La sua scalata avviene ricorrendo ad ogni sforzo possibile: fa la posta per ore e per giorni a persone che pensa che lo passano aiutare; gli insuccessi non lo disarmano; la caccia allo stage e poi al posto lo distraggono dal lavoro che gli serve per vivere, la vendita degli scanner; i soldi nel conto corrente già povero, diminuiscono sempre più rapidamente; la moglie vede che il marito trascura la famiglia, sente crescere in lei l’infelicità, e così lo abbandona. Chris si batte come un leone. Subisce l’abbandono della moglie, ma non vuole abbandonare il figlio. Tutto comunque sembra andare a rotoli e ogni giorno che passa le condizioni peggiorano; viene sfrattato, non trova alloggio se non temporaneamente per una notte in istituzioni di carità in concorrenza con altre centinaia e centinaia di disgraziati; la vendita degli ultimi scanner, ai quali è affidata l’ultima possibilità di uscire dal tunnel trova una serie di ostacoli; il fallimento sembra essere alle porte: Chris arriva a passare perfino una notte in carcere per una questione di multe non pagate, ma non molla la presa. Assunto nello stage si dà da fare, si nota per il servilismo verso i superiori, i quali tuttavia sembrano più pretendere che concedere. Si dà da fare in ogni modo per cercare di emergere ed essere colui che alla fine verrà assunto. Solo dopo tutta una serie di eventi e di contrarietà che lo fanno giungere quasi sulla soglia della disperazione, la sua tenacia ha ragione. Vince il concorso, viene assunto, e inizia una carriera straordinaria: scritte alla fine del film ci informano che Chris (personaggio evidentemente esistito nella realtà) è arrivato a fondare una sua società finanziaria, che ha avuto un successo strepitoso, rendendolo milionario.

La ricerca della felicità, sembra dirci il film, in America è in sostanza la ricerca del successo. E il successo è un dio al quale bisogna sacrificare tutto, e non è detto che si lasci sempre raggiungere.
La felicità non c’entra per nulla. La felicità esiste solo come meta. Se poi, raggiunto il successo sarà raggiunta anche la felicità il film non lo dice. A un certo momento, quando padre e figlio sono nelle condizioni più buie, il figlio subisce le disavventure in modo quasi inconsapevole, e il padre fa di tutto per proteggerlo e preservarlo dalla sofferenza, Chris chiede al figlio se è felice, e poi soggiunge, senza aspettare la risposta: io sono felice se tu sei felice.
Ma tutto si ferma lì. Quello che il film ci fa capire è che ciò che conta è la ricerca, più che non la felicità. Quando la felicità è raggiunta, cioè quando il successo è ottenuto, tutto si ferma. Il film finisce con padre e figlio che vanno a piedi sullo sfondo di una bella inquadratura della baia di San Francisco. Ora Chris non ha più nulla da dire. Se poi sarà felice o meno non è così importante. La vera importanza (la vera felicità?) è stata nella ricerca.

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