MASSCULT E MIDCULT, di Dwight McDonald

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Un saggio un po’ datato, ma ancora oggi con aspetti molto interessanti.
Dwight McDonald introduce il concetto di masscult (definiamolo cultura di massa, anche se McDonald non è d’accordo) confrontandolo col concetto di cultura, quella tradizionale (o vera).

Quest’ultima è espressione del pensiero di chi la produce (scrive romanzi, dipinge quadri, realizza film, etc.). Il risultato non sarà necessariamente un capolavoro, anzi potrebbe essere scadente. Ma sempre di cultura si tratta. La masscult è invece il prodotto di chi cerca il consenso del fruitore: quindi scrive libri, dipinge quadri, produce film, etc. per venderli. La sua parola d’ordine è: do al pubblico ciò che mi chiede. Il risultato non potrà mai essere che un risultato scadente.
“Il Masscult non offre ai suoi clienti né una catarsi emozionale né un’esperienza estetica, perché queste cose richiedono uno sforzo”. Ma non offre “neppure il divertimento, perché anche questo presuppone vita, e quindi sforzo, ma offre semplicemente la distrazione”.
Questa analisi, non solo permette di capire la differenza, ad esempio, fra i romanzi di Dan Brown e quelli, che so, di Philip Roth o di Doris Lessing e quant’altro. Ma permette di interpretare il ruolo e l’influenza che oggi ha il più diffuso dei mezzi di comunicazione di massa: la televisione. Nei programmi televisivi il masscult raggiunge l’apice della sua diffusione e, soprattutto, dei suoi effetti sulla massa. Non solo è diventato il veicolo principale degli annunci commerciali (pare che i palinsesti vengano decisi dagli stessi produttori di pubblicità), ma è diventato anche il principale veicolo per influenzare l’opinione pubblica, quindi la massa trasformata in telespettatori, su scelte politiche. Per esempio mediante la creazione di stati di paura e di ansia sull’onda di cattive notizie, al fine di convincere la massa sulla necessità di atti che altrimenti sarebbero impopolari. A tali mezzi, per esempio, si è appellato Bush, quando dopo l’11 settembre ha voluto far passare il Patriot Act (di fatto una pesante limitazione delle libertà e dei diritti dei cittadini americani) o anche decidere l’invasione dell’Iraq malgrado il parere contrario delle Nazioni Unite. La masscult, da fenomeno di presudoacculturazione di massa, è così diventata un efficace strumento di orientamento politico delle masse.
Non parliamo dell’uso che ne viene fatto in Italia per evitare facili polemiche: ma l’esistenza nel nostro paese di un palese conflitto di interessi fra un presidente del consiglio che è anche il proprietario di tre reti televisive di largo ascolto non può essere in questa sede sottaciuto.
La seconda parte del libro è dedicata al midcult, che McDonald definisce un tentativo di rivestire la masscult di una veste che la faccia apparire meno rozza. E per dimostrare questo indica quattro libri: Il vecchio e il mare di Hemingway, Piccola città di Thorton Wilder, I.B. di Archibald Mac Leish e John Brown’s Body di Stephen Vincent Benét.
Per tutti e quattro questi libri McDonald esamina i motivi per cui egli ritiene che essi non debbano essere annoverati fra la letteratura. Per esempio confronta Il vecchio e il mare, scritto in tarda età, con The Undefeated, scritto sempre da Hemingway in giovinezza. Il tema dei due racconti è lo stesso, la storia di una sconfitta, ma ben diversa è la penetrazione di The Undefeated, mentre nel Vecchio e il mare tutto il racconto si riduce a un monologo senza che l’azione prenda il sopravvento.
Forse in queste analisi MaDonald sembra essere molto severo e restrittivo. Tuttavia egli si chiede: “non è forse vero che le classi sociali in ascesa attraversano sempre una fase nouveau riche in cui imitano le forme culturali senza afferrarne l’essenza?” E conclude che “i valori del midcult, anziché essere transitori – il «prezzo del progresso» – possano diventare a loro volta un modello permanente.”
E credo che questa profezia sia stata azzeccata.

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