SIMON BOCCANEGRA ALLA SCALA: considerazioni su opera e rappresentazione

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Per fortuna venerdì 7 maggio, pur in presenza di tensioni e proclamati scioperi contro il famigerato decreto Bondi nel mondo dei teatri musicali, l’ultima rappresentazione del Simon Boccanegra alla Scala c’è stata. Come in occasione della Lulu di venerdì 30 aprile, prima dell’inizio dell’opera è stato letto un comunicato dei sindacati che informavano il pubblico delle motivazioni dell’agitazione, pur confermando la rappresentazione dell’opera per rispetto agli spettatori e alla musica. A differenza della Lulu, il comunicato è stato letto a sipario aperto, presenti tutti i lavoratori (musicisti e maestranze) schierati sul palcoscenico, che ostentavano un grande striscione contro il decreto Bondi.

Oltre a questa manifestazione, la rappresentazione è stata caratterizzata dal fatto che tutti, musicisti e maestranze, nel corso dello spettacolo, portavano sul petto una coccarda gialla per significare che l’agitazione era in difesa della cultura; e che i cambiamenti di scena venivano effettuati a sipario aperto, in modo che il pubblico potesse essere coinvolto anche nel lavoro, meno appariscente ma altrettanto importante di quello dei musicisti, dei tecnici e degli operai. La richiesta di solidarietà rivolta al pubblico ha avuto un buon successo, con applausi ripetuti, anche se qua e là si sono sentiti dei segnali di dissenso. Per la cronaca, la coccarda gialla, durante lo spettacolo era indossata anche da alcuni dei cantanti: Placido Domingo, Massimo Cavaletti, Ernesto Panariello e Alisa Zinovjeva, oltre che dallo stesso Barenboim. Non la indossavano Ferruccio Furlanetto, Fabio Sartori e Anja Harteros.

E ora l’opera: essa è, assieme al Don Carlos, una delle opere “politiche” della maturità di Verdi. Come nei romanzi storici che si rispettano, vicende politiche e vicende private si intrecciano per dar luogo al dramma che rappresenta la sostanza della vicenda. Ma a differenza del Don Carlos, il cui libretto è tratto da un importante e ponderoso lavoro teatrale di Schiller, e quindi si avvale di un contenuto drammaturgico molto ben strutturato, il Simon Boccanegra, tratto dal lavoro di un drammaturgo spagnolo “minore”, Antonio Garcia Gutiérrez (lo stesso del Trovatore), presenta degli squilibri e della contraddizioni che rendono la vicenda in più punti oscura.

Sono note le peripezie dell’opera: composta nel 1857 su libretto di Franco Maria Piave, e rappresentata a Venezia lo stesso anno, registrò un fiasco che convinse Verdi a considerare l’opera “persa” ai fini della propria fama. Nel 1881, tuttavia, su insistenza di Ricordi e con l’aiuto di Arrigo Boito il compositore vi ritornò sopra, facendo alcune modifiche sia nella struttura drammaturgica, sia nella musica. Questa volta l’opera fu accolta favorevolmente alla Scala; ma il suo vero grande successo internazionale si sviluppò quasi un secolo dopo, a seguito della rappresentazione scaligera del 1971 diretta da Abbado, con la regia di Strehler e le voci di Piero Cappuccilli, Mirella Freni e Nikolaj Ghiaurov. La cosa più strabiliante di quest’opera è che, pur nelle incertezze del libretto e della narrazione della vicenda, Verdi, secondo me, è riuscito con una musica densa, intensa, diretta, e con una appropriata distribuzione delle arie e dei brani d’assieme, a dar luogo a un lavoro sicuro, coinvolgente, e nel complesso a un’opera di grande bellezza caratterizzata da una drammaturgia, oserei dire, intensamente verdiana.

A differenza del Don Carlos, gli intrighi privati che si sviluppano all’interno della vicenda politica non sono prettamente quelli di un rapporto amoroso. Certamente, una storia d’amore esiste (fra Amelia e Gabriele Adorno), ma non ha certo l’intensità e la drammaticità di quella fra Don Carlos ed Elisabetta. Gli aspetti privati che si intrecciano straordinariamente con le vicende politiche nel Simon Boccanegra riguardano soprattutto il rapporto del padre con la figlia, di questa con il nonno e dei due uomini fra loro, rappresentanti, nell’opera, degli interessi contrastanti dei plebei e dei patrizi. E a seguito di questa contesa, che riguarda la Genova del XIV secolo, la Genova dei Dogi (Simon Boccanegra è stato proprio il primo doge genovese eletto a vita), la Genova che ha acquistato una grande forza sui mari, che contende a Venezia il controllo dei traffici col medio-oriente, soprattutto i traffici con la Grecia, la Turchia e Costantinopoli, il mar Nero (proprio all’inizio della seconda scena del primo atto il Doge ricorda questi eventi al consiglio in seduta plenaria), si sviluppa una vera e propria guerra civile.

La pacificazione, obbiettivo principale di Simone, avverrà, nell’opera, attorno al personaggio di Amelia e al suo riconoscimento e, alla morte del doge, al passaggio della carica al patrizio Adorno, suo marito. Naturalmente appare evidente la natura provvisoria di questa pacificazione. Quando Fiesco proclama al popolo che il nuovo doge sarà Gabriele Adorno, il popolo risponderà con un grido unanime: Simon Boccanegra! Cioè, nonostante gli auspici e gli sforzi di Simone, il solco fra plebei e patrizi rimarrà aperto.

 

Da un punto di vista del libretto vale la pena di individuare una serie di elementi di debolezza, nel trasferimento dal lavoro teatrale di Gutiérrez, che neppure con l’intervento di Boito nel 1881, è stato possibile correggere.

Anzitutto  vi è un eccessivo numero di colpi di scena. Se ne possono elencare almeno sei nel corso dell’opera fra i quali il riconoscimento della figlia da parte di Simone, oppure il riconoscimento in Simone del padre dall’amata da parte di Adorno proprio nell’attimo in cui sta per ucciderlo, o alla fine, ancora il riavvicinamento di Simone e Fiesco nel nome di Amalia-Maria, etc. Credo che un eccessivo numero di colpi di scena anziché sostenere e inasprire la tensione drammaturgica, finiscano per diluirla.

Altro aspetto discutibile nel libretto dell’opera è l’eccessivo ricorso a racconti per spiegare i fatti. Generalmente l’uso dei racconti ha una funzione drammaturgica soprattutto per far capire agli spettatori le vicende degli antefatti. Utilizzarli per spiegare situazioni interne alla vicenda, non aiuta a chiarire gli eventi, e in questo caso neppure le molte incongruenze che si osservano nella trama: per esempio, dopo il reciproco riconoscimento di padre e figlia, la notizia viene tenuta segreta, inducendo nella gelosia di Adorno un equivoco non drammaturgicamente giustificato. Così, anche, dopo lo scontro che avviene nel prologo, il rapporto fra Simone e Fiesco inspiegabilmente cessa per 25 anni, per ricomparire e risolversi solo al momento della morte di Simone.  Anche le sommosse, che culminano nella guerra fra patrizi e plebei, emergono senza che nell’opera si cerchi di dare qualche, anche sommaria, informazione su cause e meccanismi alla base degli eventi

Come accennavo sopra, tuttavia la musica di Verdi riesce a caratterizzare in modo straordinario i diversi personaggi, i loro contrasti, il loro dolore, le loro speranze, e finalmente a intrecciare le vicende private con lo sfondo degli eventi pubblici.

 

L’opera è incorniciata da due duetti: due splendidi duetti dei due personaggi principali: Simone e Fiesco; un baritono e un basso. All’inizio dell’opera i due protagonisti si scontrano rivelando il loro carattere, le loro aspirazioni, i loro interessi. Nel duetto nel finale dell’opera, il cerchio aperto venticinque anni prima, e significativo della lotta fra patrizi e plebei, si chiude col ritrovamento della figlia-nipote e l’intreccio familiare che ne deriva. Fiesco è il patrizio orgoglioso, tenace, strenuo e inflessibile difensore della famiglia e della classe di appartenenza. Egli, per raggiungere la sua vendetta rifuggirà dai mezzi meschini offertigli da intriganti traditori. La vendetta che lo spinge contro Simone è sì, di tipo familiare (Simone è accusato di avergli sedotto la figlia), ma nello svolgimento dell’opera si manifesta soprattutto come il revanscismo dei patrizi sconfitti dall’elezione a Doge del plebeo Simone.

La musica che lo caratterizza, è una musica solenne, rigida, priva di sfumature: così lo conosciamo nel prologo, quando piange la figlia morta (bellissima aria accompagnata da un coro triste fino alla disperazione) e quando inveisce contro Simone e la sua colpa nel duetto iniziale; ma così lo ritroviamo nel duetto finale quando, dopo lo scontro iniziale, alla rivelazione di Simone che Amalia non è altri che Maria, la nipote perduta, percepisce come la sua rigidità di nobile l’abbia indotto in un crudele errore, e rivolgendosi a Simone, sempre con l’orgoglio che non l’ha mai abbandonato gli confessa: «Sento rampogna atroce fin nella tua pietà!» Parole che nessun animo meschino avrebbe mai potuto pronunciare.

Simone è il carattere opposto: in lui i sentimenti e gli affetti svolgono un ruolo decisivo: l’amore per Maria, la figlia di Fiesco; e l’amore per Amelia-Maria, sua figlia. Ma anche l’amore per il suo popolo, il popolo di Genova, del quale è Doge, e, per estensione, l’amore per il popolo italiano. Simone è un vero uomo di stato, che cerca di conseguire un ideale comune. Farà anche appello a una lettera del Petrarca (invenzione di Boito, questa) per indurre il popolo alla pace, e non riuscendoci uscirà, nella grande aria del finale primo, nell’esclamazione: «Fratricidi! Plebe! Patrizi! Popolo dalla feroce storia!» concludendola col grido: «E vo gridando: pace! E vo gridando: amor!». Questo appello ai sentimenti dominerà anche il suo comportamento nei due duetti con Fiesco: nel primo Simone non esista a chiedere perdono, addirittura inginocchiandosi, senza temere umiliazioni; nel duetto finale, con gioia rivela a Fiesco il ritrovamento della figlia, che è la condizione per la loro riappacificazione. E in questo suo cercare il perdono dell’amico-avversario c’è il riflesso dei suoi tentativi di pacificare i contrasti civili fra le classi, come si è visto. Anche per Simone, Verdi ha offerto una musica che lo caratterizza in modo formidabile: la dolcezza o la forza delle sue arie e dei suoi interventi negli ensemble sono di grandissima eloquenza.

 

Due personaggi contraggono rapporti fondamentali con i protagonisti per lo sviluppo degli eventi: uno è un personaggio positivo: Amelia. L’altro, Paolo, è un personaggio losco, che qualcuno potrebbe paragonare a Iago. Entrambi i personaggi entrano a diverso titolo, interferendo nelle vicende private dei due protagonisti, nelle vicende politiche generali influenzandone il decorso. Amelia è una dolce fanciulla. Nell’opera ci viene presentata all’inizio del primo atto mentre canta un’aria di sapore marino nel giardino dei Grimaldi. L’incontro col padre è commuovente, ma la sua dolcezza non esclude anche una certa forza di carattere: si schiera col padre, ma non intende rinunciare al suo amore per Gabriele, nonostante sia un nemico; e quando viene rapita riesce a liberarsi da sola risolvendo una situazione intricata. La musica ne descrive bene il carattere. Paolo ci viene presentato subito all’inizio dell’opera mentre assieme a un altro personaggio, Pietro (anch’esso losco la sua parte: un capopopolo che vende i voti popolari da lui controllati al miglior offerente), tesse l’intrigo per far eleggere doge Simone. Lo troveremo alla fine della prima scena del primo atto, a tessere un nuovo intrigo (il rapimento di Amelia) sempre in accordo con Pietro. Paolo per questo suo carattere non ha arie sue: gli è affidato un racconto nel prologo (la storia di Maria Fiesco tenuta reclusa dal padre), ed entra soprattutto in brani d’assieme. La musica che lo descrive ha un carattere poco melodico, soprattutto singhiozzante nei toni bassi, con una tinta di mistero che descrive molto bene le intenzioni intriganti dell’uomo.

Gabriele Adorno, l’innamorato di Amelia, il successore (alla fine dell’opera) di Simone come doge, pur avendo un ruolo musicalmente importante (ha anche un’aria propria, oltre ai duetti con Amelia e con Fiesco), drammaturgicamente si colloca come un personaggio di contorno.

 

L’ambiente: come si è detto l’opera è definibile come storico-politica; è comunque rilevante, anche dal punto di vista musicale, che si svolga a Genova, repubblica marinara per eccellenza: non a caso il primo doge eletto, Simone, è un corsaro dei mari, responsabile di vittorie contro vascelli nemici; e il mare, col suo profumo, la sua fresca brezza entra rievocato per ben due volte nell’opera: all’inizio del primo atto, nell’aria di Amelia, e nel terzo atto quando Simone, ormai preda del veleno, esce sulla riva a cercare un po’ di refrigerio, prima di incontrare Fiesco e dar luogo al duetto conclusivo.

L’opera, nonostante le incongruenze drammaturgiche descritte, è molto bella, e gli intrecci fra vicende private e vicende politiche, le tensioni che ne risultano, le attese che ci coinvolgono, gli scontri fra avversari e le soluzioni alle quali si giunge coinvolgono lo spettatore dall’inizio alla fine.

 

La rappresentazione. Nel complesso mi è sembrato che la rappresentazione abbia cercato di valorizzare gli aspetti più significativi dell’opera.  La regia è stata soprattutto attenta a una ricostruzione dell’ambiente che richiamasse sia la natura marinara della repubblica, sia gli aspetti storici degli eventi narrati. Per quanto riguarda il lato ambientale, ad esempio nel prologo si muovono marinai alle prese con le gomene che pendono dagli alberi di alcune navi; nel primo atto, ai lati di Amelia che canta la sua aria nel giardino dei Grimaldi, vengono agitati teli azzurri che rappresentano simbolicamente i flutti marini; negli altri atti, soprattutto nel terzo, gli esterni hanno uno sfondo vuoto di color azzurro pallido, per dare il senso della distesa che circonda la città. Per quanto riguarda il lato storico, lo si può osservare nei costumi, assai ricchi ed eleganti, con evidenti distinzioni fra gli abiti dei patrizi e quelli dei popolani; e nel mobilio degli interni, ridotto all’essenziale ma con chiari riferimenti trecenteschi. I movimenti dei cantanti e della masse corali seguono abbastanza rigorosamente le didascalie del libretto. Insomma, quella che ho visto sul palcoscenico scaligero si potrebbe definire una regia molto tradizionale, con tendenza alla essenzialità delle scene.

La direzione orchestrale è stata di buon livello, senza, a mio avviso, eccedere. Forse mi è sembrata carente sul lato espressivo, affidando soprattutto alle variazioni della dinamica le tensioni espresse dalla musica, mentre il ruolo dei timbri e delle intersecazioni armoniche mi è sembrato un po’ appiattito.

Fra i cantanti la star della serata, e l’evento più atteso, è stato, ovviamente, Placido Domingo nel ruolo di Simone. Domingo è un grande cantante, e il passaggio al ruolo di baritono non mi è sembrato creargli particolari problemi. La sua voce è brunita come tenore, e tale rimane come baritono del quale tuttavia non assume fino il fondo la cupezza. Nei due duetti con Ferruccio Furlanetto le differenze timbriche fra le due voci sono molto ben avvertibili. Furlanetto è un interprete storico del ruolo di Fiesco. Forse in questa occasione non ha avuto la brillantezza che ho visto in altre occasioni in registrazioni video. Anche la voce mi è parsa un po’ deteriorata. Massimo Cavalletti nel ruolo di Paolo, ha svolto il suo compito con la solita bravura che ha manifestato in diverse altre occasioni. Molto bene, come c’era da aspettarsi, ha cantato Anja Harteros, riuscendo a dare ad Amelia quel ruolo di dolcezza, ma anche di determinazione del quale si è parlato sopra. Nel ruolo di Gabriele Adorno, ottimo è stato anche Fabio Sartori, che ha sfoderato una bella voce, chiara, pulita e appassionata là dove questo era necessario. Questi ultimi due sono stati i più applauditi dal pubblico.

In conclusione, pur non avendo assistito a una esecuzione epocale, non ho capito il motivo dei booo che hanno concluso la prima rappresentazione. In compenso devo dire che l’opera ha confermato, almeno a me, il suo interesse e la sua bellezza.

 

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Leggi analisi musicologica dell’opera di Gilles de Van su ASO 

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