IL VECCHIO E IL MARE (The Old Man and the Sea), di Ernest Hemingway, 1952

ernest-hemingway_spia_h_partb

È l’ultimo romanzo pubblicato da Hemingway e, a detta universale, uno dei suoi grandi capolavori. Come in Avere e non avere il romanzo è ambientato sulla costa settentrionale dell’isola di Cuba e soprattutto nel braccio di mare che separa Cuba dalla Florida, e dove scorre, per risalire verso l’oceano Atlantico settentrionale, la corrente del Golfo.


Protagonista è un vecchio pescatore, Santjago. Ogni giorno, vogando nella sua barca, si stacca dalla costa e si avventura nel braccio di mare, assieme ad altre centinaia di pescatori, per catturare qualche grosso pesce spada da rivendere al mercato e guadagnarsi da vivere. È molto abile, ma per avere successo nella pesca non basta l’abilità. Occorre anche una buona dose di fortuna.
Quello preso in considerazione dal romanzo non è un periodo fortunato per il vecchio Santjago. Sono 84 giorni che non prende un pesce. Il ragazzino che usciva in barca con lui, da alcuni giorni non lo più fare. Il padre gliel’ha proibito e gli ha imposto di seguire un altro pescatore, con un po’ più di fortuna. Ma il ragazzino ama Santjago, lo considera il suo maestro, e se non può uscire a pescare con lui, può in ogni modo aiutarlo almeno quando è a terra. Lo accudisce nella sua vecchia e cadente capanna, gli porta da mangiare, lo sveglia quando è ora, procura le esche per la pesca, trasporta assieme a lui gli accessori necessari per mettere la barca in acqua, etc.
La mattina nella quale ha inizio il racconto è quella dell’ottantacinquesimo giorno da quando la fortuna ha abbandonato il nostro eroe. Forse questa è la volta buona. È successo un’altra volta che Santjago non avesse pescato un pesce per ben ottantasei giorni, ma l’ottantasettesimo la fortuna è tornata. Forse anche questa volta si realizzerà il miracolo. Egli mette in acqua la barca che il sole non è ancora sorto. Altre barche, assieme alla sua, si staccano dalla riva. Santjago ha deciso che andrà al largo. Segue la corrente del golfo, questa protagonista di tante avventure narrate da Hemingway, fiume di color azzurro intenso che scorre in mezzo al mare, pieno di alghe che affiorano in superficie, pesci volanti che attraversano la rotta delle barche, ustionanti meduse che si lasciano trasportare, razze che lasciano partire scariche elettriche, e delfini che guazzano da un lato e dall’altro.
Quella mattina la corrente è costante, il tempo è bello, il vento viene da nord est e preannuncia bel tempo ancora per alcuni giorni. Il vecchio rema. Nonostante l’età ha ancora molta forza. Le esche sono state collocate correttamente e pescano diritte nel fondo. È solo nella grande immensità, e questo lo induce a parlare ad alta voce: un soliloquio che lo fa sentire meno solo. Nella borraccia c’è un po’ d’acqua da bere che lo aiuta a contrastare la disidratazione che il sole alzandosi gli potrebbe procurare. Poi occorre anche mangiare, e questo è possibile pescando qualche pesce. Così, mentre la barca naviga e Santjago pensa, immagina, si concentra, guarda gli uccelli che attaccano i pesci, i delfini a caccia di pesci volanti, etc. accade finalmente l’evento. A mezzogiorno sente che un pesce ha abboccato. È sicuramente un pesce spada, e probabilmente anche molto grosso. Inizia la grande battaglia. Il pesce è forte e comincia a nuotare trainando la barca. Santjago tiene la lenza con le mani. Cerca di imprimere la tensione giusta. La barca si dirige verso nord, e la costa si allontana sempre più. In questo modo trascorre il resto della giornata e poi tutte la notte. Ogni tanto il pesce dà scossoni, le mani che tengono la lenza gli fanno male. Il freddo della notte e lo sforzo di tenere la lenza tende addirittura a paralizzare la mano sinistra. Certi strattoni arrivano addirittura a ferire la mano che tiene la lenza. Anche la schiena, attorno alla quale la lenza gira, duole molto. Ma non si deve cedere. Questa è una vera lotta e Santjago, pur combattendo una battaglia che dovrà terminare con la morte del pesce spada, sente simpatia per quel pasce che non molla, che si batte. Farebbe addirittura tifo per lui. Dopo la notte, trascorre un altro giorno. Un altro giorno in cui bisogna mangiare per conservare le forze, in cui bisogna controllare il pesce che comincia a dar segni di stanchezza.
La lotta è dura. Il pesce fa continui balzi in superficie. Il vecchio si trova costantemente sull’orlo di cedere: il dolore, la mancanza di forze, la sete sono tutti fantasmi che lo tormentano. Ma in lui vince sempre la volontà di uccidere quel pesce enorme che si difende con grande insistenza e che merita l’ammirazione del suo cacciatore. Passa così la seconda giornata e la notte. Il vecchio riesce ad alimentarsi con un delfino catturato e con un paio di pesci volanti intatti che erano nello stomaco del delfino. All’alba del terzo giorno il pescespada dà segni di cedimento. Non traina più la barca, ma comincia a girale attorno, e il vecchio tende sempre di più la lenza in modo che il pesce affiori sempre più in superficie e passi sempre di più nel pressi della barca. Con le ultime risorse di energia rimastegli, il vecchio riesce finalmente a lanciare la fiocina e colpire il pesce al cuore, uccidendolo. Siamo a mezzogiorno della terza giornata.
A fatica il vecchio riesce a catturalo e a legarlo alla fincata della barca. Finalmente il vecchio può cominciare il rientro. Si trova molto lontano dalla costa, invisibile sotto l’orizzonte. La navigata è lenta, anche se il mare è piatto e il vento favorevole. Bisogna attraversare la corrente, e questo è il problema più pericoloso. Il pesce spada perde sangue dalla ferita e ben presto compaiono gli squali richiamati dal sangue. Essi si mettono in traccia, e cominciano a mordere il pesce. Il vecchio combatte e ne uccide diversi, ma gli squali sono sempre più numerosi, e il vecchio non riesce più a contrastarli. Alla fine, quando finalmente arriva in vista della costa ed entra nel porticciolo dal quale è partito, del grosso pescespada non rimane che lo scheletro e poco più. È ormai notte inoltrata quando il vecchio riesce ad approdare. La notte del terzo giorno. Con tutta la fatica e la stanchezza del mondo, il vecchio raggiunge la propria capanna e si addormenta. La mattina seguente il ragazzo corre a trovarlo, lo sveglia, ne percepisce la stanchezza e la delusione, ma decide di stargli vicino e prende la decisione, ordini del padre o no, di riprendere a pescare con lui: un vero eroe, ai suoi occhi, un eroe che ha vinto la lotta contro un enorme pesce ed è stato sconfitto solo da una muta di squali.

Il romanzo si svolge quasi tutto sulla barca del vecchio Santjago. Lo vediamo e soprattutto lo sentiamo nei suoi pensieri e nei suoi soliloqui, avvolto in una solitudine nella quale ricordi, e sofferenza gli tengono compagnia. L’ambiente del romanzo sono il mare e il cielo con i loro colori cangianti col trascorrere delle ore; il vento che preannuncia bello o brutto tempo; la corrente del Golfo, gli uccelli che pescano, i pesci che saltano. Tutto questo il lettore lo percepisce attraverso gli occhi e la mente del vecchio.
A differenza degli altri romanzi di Hemingway, in questo non vi è quasi dialogo, se non il dialogo del vecchio con se stesso, che ci fa partecipi della sua fatica, della sua volontà di resistere, del suo amore per il mare e per tutto quello che lo popola, amore che si estende anche alla vittima contro la quale sta lottando: il grande pesce spada. La sostanza del racconto è nell’azione, nella lotta del vecchio e del pesce. E, sempre a differenza degli altri romanzi, in questo è assente il whisky. Tutta la forza di attrazione del romanzo è dovuta all’intensità della lotta, alla natura dei protagonisti, un vecchio ricco di esperienza e un grosso pescespada che vuole sopravvivere, e all’ambiente in cui questa si verifica.

Scrivi un commento