“Senza Sapere” di William Xerra

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A distanza di tre anni William ritorna su un tema religioso. Nel 1999 la Passione di Cristo e la Crocifissione. Nel 2003 la Nascita. I due temi estremi della vita di Cristo. Due temi che sono l’uno il completamento dell’altro: la nascita per offrire il corpo alla morte. Nella sostanza il processo della redenzione.
In questa occasione, forse proprio per sottolineare l’unitarietà dei due processi, il tema della nascita si lega strettamente a quello della morte.
Questo appare evidente da come William interpreta il presepe.
Per prima cosa il luogo.

La capanna viene identificata nei capannoni dell’ex Macello Comunale. Si tratta di una ampia struttura (con edifici, strade di collegamento, spazi come piazze che gli architetti incaricati dei progetti identificano come una piccola città in miniatura, all’interno della città) che è in corso di demolizione al fine ricuperare lo spazio, collocato nel centro cittadino, per altre strutture urbane di pubblica utilità.
Gli edifici scelti sono proprio quelli che erano utilizzati per la macellazione. E qui già si manifesta il legame fra nascita e morte.
Poi i contenuti.
Non vediamo i soliti stilemi delle ritualità tradizionale: la capanna, il bambino, la vergine, san Giuseppe, il bue e l’asinello, e tanto meno la teoria di pastori che offrono doni. William costruisce la sua natività con tubi luminosi al neon in luce bianca ma soprattutto rossa, distribuiti all’interno dei locali, sui muri, sulle colonne, in ogni spazio e luogo che lo consenta, che scrivono e descrivono in modo frammentario alcuni elementi della ritualità tradizionale (per esempio la scritta “oro, incenso e mirra”) con altri elementi caratteristici della sua poetica (“Vive”, “Senza sapere”, “Io mento”) o della vita comune (che poi si identificano: “mentre”, “ora che ora era”, “era ora”, “che ora è”, “ciò che significa”, “rosso”, “segno”, “perché io in questo momento”, “0-24” le ore del giorno “1-365” i giorni dell’anno, frecce che danno indicazioni, etc.).
Le scritte risaltano sul buio degli ambienti che, ricordiamo, sono ambienti di morte (la macellazione) ma che proprio da queste scritte, sia visivamente che concettualmente sono richiamati alla vita.
A completare il quadro la parte sonora.
Anzitutto la musica di Giacinto Scelsi. Accordi frammentati, dissonanti, spesso di timbro stridente, acuto, che illustrano paesaggi fatti di interni bui arredati da colonne, archi, porte misteriose, lunette come punti interrogativi, pilastri, tutti parzialmente illuminati dalle scritte di tubi al neon bianchi come la nascita e la vita, e luci rosse, che sembrano infiltrarsi, invadere gli spazi, quasi conquistarli come la guerra, il sangue, la morte.
E sopra la musica di Scelsi una voce elenca immagini che si riferiscono ad attimi, quasi fotografie, nei quali sono compresi un po’ tutti gli elementi della vita: da quelli più semplici (cani da caccia, pani di grano duro, carte piacentine, sacchi di mais) a quelli della burocrazia o della dittatura (lasciapassare) a quelli dell’affetto (un bacio mai dato, ricordi d’infanzia) a quelli della fede (rosari, vangeli, budda) a quelli della cultura (Sofocle, Ofelia) a quelli della guerra e dell’ipocrisia (croci di latta, bombe intelligenti, grida di guerra) etc. Sono scansioni, che si fondono, illustrano, arricchiscono, immedesimano le immagini e il tessuto sonoro che le accompagna.
Il tutto dà una sensazione di sacralità e mistero, quale proprio la nascita di un Cristo redentore, che per redimere morirà crocifisso, richiama.
Un Natale cupo, triste ci dice William nel filmato. Mi viene in mente il Natale di un Dio che si è fatto uomo per redimere l’uomo, e che questa redenzione è stata resa possibile solo dalla sua morte. Ma l’uomo, viene da chiederci, sa di questa redenzione? Sa perché Cristo è nato? Sa che il sangue di Cristo è stato versato per redimere il sangue versato dagli uomini? La risposta che dà William è tutta nell’espressione ricorrente, nelle scritte e nella voce e nel titolo stesso dell’opera: “Senza sapere”.

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