Amos Oz e il problema dei profughi palestinesi

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Qualche tempo fa ci fu sul NG una discussione relativa ai profughi palestinesi. Quanti sono, di chi è stata la responsabilità, che fare oggi per affrontare e risolvere il loro problema, stante che proprio questo problema è uno dei punti che finora hanno reso impossibile un accordo serio fra israeliani e palestinesi.
Ricordo in particolare che le mie posizioni, che tendevano ad attribuire la responsabilità della diaspora palestinese al come si e venuto a formare lo stato israeliano e alla necessità degli israeliani di ridurre la minimo la presenza di palestinesi all’interno del territorio riconosciuto come Stato di Israele, erano fieramente contestate da molti interventi, con argomenti, tuttavia, non sempre convincenti.

E ricordo anche una domanda fattami da Moos che riporto integralmente, assieme alla mia risposta:

> > Magari fosse solo un problema di integrità territoriale, Rudy.
> > Come lo vedi il problema del ritorno dei profughi ?

> Beh, per chi mi hai preso? Per il padre eterno che sa risolvere i
> problemi irrisolvibili? :-) ))
> Non lo so.
> Penso, però che uno sforzo da parte di Israele nel riconoscere le
> proprie responsabilità, cercando compromessi onorevoli, sarebbe molto
> utile. Molto più utile che non fare ingenti investimenti per ampliare
> gli insediamenti nei territori.

In questi giorni sul Corriere è uscito un articolo di Amos Oz che vale la pena di leggere e che mi sembra dia una risposta alla domanda di Moos in termini non molto dissimili da quelli da me usati.
Oz non si pone il problema di chi sia la responsabilità specifica della diaspora palestinese: riporta quella che è la risposta degli israeliani e quella che è la risposta degli arabi.
Ma al di là della ricerca di una responsabilità documentabile e delle singole motivazioni alle quali può essere attribuito l’esodo, dice una cosa molto sensata. La presenza dei profughi è certamente una causa importante di instabilità dei rapporti fra Israeliani e palestinesi e un ostacolo insormontabile alla ricerca della pace, oltre ad essere una fonte di sofferenza di grandissime proporzioni.

Scartata la soluzione basata sul “diritto al ritorno” pretesa dai Palestinesi, che metterebbe in discussione l’esistenza stessa dello Stato di Israele, Amoz Oz non esita a riconoscere che gli Israeliani devono farsi carico del problema cercando forme di risarcimento accettabili che portino a restituire una dignità di esseri viventi ai profughi che ancora sopravvivono nei campi.
E questo potrebbe avvenire attraverso la liberazione di risorse finanziarie che in parte potrebbero essere investite dallo stesso Stato di Israele, in parte potrebbero essere liberate dagli Stati dell’UE, che pure qualche debito, magari anche morale, ma non solo, nei confronti sia degli ebrei sia degli arabi ancora hanno.
A me sembra una proposta molto ragionevole, in linea con quel “compromesso onorevole” che avevo ipotizzato nella mia risposta a Moos.
Sarebbe interessante sentire il parere di qualche intellettuale palestinese.

Ben diversa è la posizione di Nili, la ragazza ripresa nella foto vincitrice del premio Pulitzer e riportata qui sopra.
A parte la bellezza della foto, qui il messaggio che viene proposto è di tutt’altro tenore. Gli israeliani che occupano insediamenti in terra palestinese rifiutano di cedere e di ritirarsi. E accusano il governo israeliano: «invece di difendere il popolo e la terra di Israele, le forze di sicurezza distruggono le case degli ebrei». E ancora «C’è un intera generazione di giovani cresciuti in Israele – afferma Nili – che credono nella Stato ebraico e nella Torah e insistono per portare la gente di Israele in una direzione differente: e siamo pronti a combattere per questo». Le fa eco la madre, Devorah, che sottolinea come «questa foto presenta una situazione problematica: mostra una guerra civile, con il governo che va contro il popolo. Il popolo d’Israele è per la terra d’Israele e solo il primo ministro e la Knesset sono contro questo». E ancora è Nili che parla: «quello che ho fatto ad Amona sono pronta a rifarlo se necessario: sono stata ad Hebron e ho detto alle famiglie ebree che vivono nella Shalom House che se i militari vengono a espellerle, io ci sarò». E ha concluso: «voi mi vedete nella fotografia, una contro tanti, ma è solo un’illusione: dietro quei tanti c’è un solo uomo, il premier Ehud Olmert, ma dietro di me c’è Dio e il popolo d’Israele».
Inutile sottolineare come l’uso improprio del nome di Dio non sia un patrimonio solo dei Palestinesi. E’ difficile immagine un titanico scontro fra il Dio ebraico e Allah, ma qualcuno ci riesce.

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