UNA PACE PERFETTA, di Amos Oz

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Il lato più interessante del romanzo è la ricostruzione della vita in un kibbutz. Che il kibbutz sia una specie di cooperativa agricola israeliana, mi è noto, ma come concretamente si sviluppino i rapporti fra chi vi lavora, quali siano le attività, con quale ritmo vengano svolte, dove vengono prese le decisioni, quale sia la sua amministrazione, e in qual modo il kibbutz si inserisca nella vita politica e sociale del Paese, questo no, non mi è affatto noto. Il romanzo di Oz mi ha, in certo qual modo aiutato a capirlo.

Direi che i pregi del romanzo si fermano qui. Diciamo questo romanzo mi è parso un Oz minore, o forse un Oz ancora agli inizi (il libro è del 1970, poi completato nel ’76 e ’81: questo prolungamento mi fa pensare che neppure il suo autore fosse completamente soddisfatto del risultato). Siamo ben lontani dallo stupendo La scatola nera, del 1987, che è il libro che l’ha reso famoso nel mondo.

La trama, che si svolge nei due anni che precedono la guerra dei Sei Giorni. Yonatan (Yoni) è un giovane che vive e lavora nel kibbutz Granot. È considerato, da amici e parenti, un bravo ragazzo, disponibile, altruista. È sposato con Rimona, una fanciulla con un passato difficile, e con una personalità passiva, con scarsa propensione all’iniziativa e alla riflessione. La coppia non ha figli: una figlia l’anno precedente è nata morta, e questo fatto ha peggiorato le condizioni mentali della donna. Yoni è il figlio, almeno ufficialmente, di Yolek Lifschitz il segretario del kibbutz, persona ormai anziana, che ha avuto un passato politico di una certa importanza nel MAPAI, il partito laburista israeliano. È stato in passato anche ministro in un governo, ed è amico sia di Ben Gurion che di Eshkol, quest’ultimo Primo Ministro negli anni in cui si svolge il romanzo. È anche un animatore del movimento progressista dei kibbutz. Per l’età ormai avanzata, sta per rinunciare al mandato di segretario, e a chiudersi, in preda di una saluta malferma, nella sua casa, riducendo sempre più i suoi contatti col mondo che lo circonda.

Nella storia di Yolek c’è un buco. Hava, la moglie, e madre di Yoni, molti anni prima ha avuto una relazione con un certo Benyamin Trotsky, personaggio considerato squilibrato. La relazione è stata breve e violenta, finché Trotsky è scomparso dal kibbutz, dopo una sparatoria incredibile. In seguito si è saputo che il giovane è approdato in America e ha fatto fortuna. Il problema lasciato in eredità da Trotsky è proprio Yoni, il padre del quale, se ufficialmente è Yolek, vi sono fonati dubbi che nella realtà sia proprio Trotsky.

Un brutto giorno d’inverno, mentre cade una pioggia insistente, al kibbutz arriva un giovane che ha tutta l’aria di essere un fanatico: Azariah Gitlin. È un ragazzo logorroico, idealista, e anche molto ambizioso. Crede fermamente nel movimento dei kibbutz, ed è convinto che le sue idee saranno apprezzate e utilizzate a livello nazionale. Diventa un grande amico di Yoni, finisce di vivere ospite in casa sua dove a poco a poco si instaura un rapporto a tre, una specie di poliandria in carico a Rimona che avrebbe così due mariti, almeno secondo le chiacchiere che nascono nel kibbutz. La sua passione è la filosofia, e in particolare il pensiero di Spinoza; i proverbi russi, che racconta a volte come parabole (molto bella quella sul mistero della nascita e della trasmissione dei caratteri ereditari), e la chitarra, che suona bene e per la quale viene spesso richiesto dagli abitanti del kibbutz.

Accanto ai personaggi indicati, che rivestono un po’ il ruolo dei protagonisti, vivono nel romanzo altre persone: amici di Yoni, come Udi e la moglie Anat, come Eitan R., Stutchnik, Shrulik, suonatore di flauto, che sarà il successore di Yolek alla guida del kibbutz.

Yonatan e i suoi amici vivono la vita del kibbutz, si frequentano, fanno escursioni, a volte fino al villaggio arabo abbandonato di Sheikh Dehar, dal quale gli abitanti sparavano sugli ebrei del kibbutz con l’intento di uccidere. Tutti hanno avuto alle spalle un’esperienza militare (Yoni è stato anche decorato), e tutti sono allerta per la eventuali infiltrazioni di fedayn. I rapporti con la Siria sono tesi, la radio dà informazioni sulla politica estera, la gente chiede al Premier maggior fermezza nell’assicurare un minimo di sicurezza agli abitanti di Israele e a quelli del kibbutz.

Ma nel romanzo le tensioni che hanno preceduto la guerra dei Sei Giorni si avvertono relativamente. Quello che guida la narrazione di Oz è soprattutto l’approfondimento della psicologia dei protagonisti, e soprattutto di quella di Yonatan. Il bravo ragazzo è stufo di essere considerato un bravo ragazzo. Gli sembra di essere troppo soggetto alle volontà altrui: devi fare questo, devi fare quello, etc. La sua ambizione è quella di conquistare una vera libertà, che gli consenta di affrontare il mondo, magari terre lontane, grandi città dove uno può farsi la sua strada, scegliere la propria vita. Nel suo animo si fa strada la decisione di abbandonare tutto e di andarsene. Lo farà, all’improvviso, abbandonando la casa, la moglie e l’amico, senza avvertire nessuno. Lo farà all’inizio della primavera quando le grandi piogge saranno finalmente cessate. La sua fuga è fisica, certamente, ma a Oz interessa più la sua fuga mentale, le sue riflessioni mentre a piedi da solo attraversa il deserto: la sua meta è Petra, in terra giordana. Ma non ci arriverà. Troverà una specie di santone col quale collaborerà, finché un giorno verrà trovato e farà ritorno a casa, al kibbutz

Naturalmente la sua scomparsa crea un grosso fermento nel kibbutz. Tutti sono allarmati. Si pensa al peggio. Qualcuno, pensa che sia andato in America a trovare il (forse) vero padre, Trotsky; qualcun altro pensa che potrebbe essere stato ucciso dai fedayn. Contrasti e liti esplodono. Giunge addirittura il primo ministro in persona per dare impulso alle ricerche. Questa forse è la parte più divertente del libro, in cui i caratteri dei personaggi si svelano. La biglia del protagonista passa a Shrulik, eletto nuovo segretario del kibbutz: personaggio apparentemente timido, con apparentemente bassa autostima. Il suo slogan preferito è che nella vita c’è già troppo dolore, e bisogna far di tutto per non aggiungerne altro. Alla fine si rivela capace di costruire lentamente un equilibrio che porterà alla felice conclusione della vicenda, confermando (ci dice il maligno Oz) che al di là delle roboanti chiacchiere degli anziani, dei “fondatori”, i nuovi, nella loro umiltà, “fanno” e ottengono risultati.

Purtroppo alla fine del romanzo scoppia la guerra. Gli Israeliani sono vincitori su tutti i fronti. Yoni e tutti gli amici del kibbutz vanno al fronte. Torneranno, qualcuno no. Ma Shrulik scrive sul suo diario: «La terra è indifferente. Il cielo è immenso e indecifrabile. Il mare? Misterioso. Le piante. Le migrazioni degli uccelli. La pietra tace sempre. La morte è forte, tanto, presente ovunque. Siamo tutti impregnati di crudeltà. Ognuno di noi è un po’ assassino: se non con gli altri, con se stesso. L’amore, ancora non lo afferro, e certo non farò in tempo ad imparare. Il dolore è un fatto compiuto. Ma malgrado tutto ciò, so anche che possiamo fare qualcosa. Possiamo, e perciò siamo tenuti a farlo. Tutto il resto – chi lo sa? Chi vivrà, vedrà. Invece di dilungarmi, questa sera suonerò un po’ il flauto. Ci sarà pure posto anche per questo. Il senso quale sarà? Non lo so.»

 

Il libro procede molto lentamente, un po’ soffocato dalle descrizioni, e un po’ appesantito da lunghe, direi troppo lunghe, riflessioni dei diversi personaggi su vari temi.

Le tensioni con gli arabi confinanti, soprattutto siriani, ricorrono di quando in quando, ma, secondo me, non riescono a trasmettersi al lettore. La vita del kibbutz non ne sembra influenzata. La guerra dei Sei Giorni, che arriva alla conclusione del libro, viene sbrigata in poche righe, e sembra più una fatto di ordinaria amministrazione che una tragedia, quasi estraneo alla vita che si svolge nel kibbutz.

In conclusione il libro non mi ha affascinato come altri libri di Oz: anzi, alla fine ero abbastanza annoiato e ho faticato a concludere la lettura.

2 Commenti a “UNA PACE PERFETTA, di Amos Oz”

  1. Rita Fantungheri scrive:

    Sono perfettamente d’accordo…sono nemmeno a metà del testo e duro molta fatica a continuare…ho cercato inconsciamente la trama completa forse per non terminarlo…
    Rita

  2. Rudy scrive:

    Di Oz, se non l’hai letto, leggi La scatola nera. È tutta un’altra cosa.
    E comunque, se ti piacciono gli autori israeliani, ci sono anche Yehoshua e Grossman che hanno scirtto libri bellissimi.
    Ciao e grazie per il commento.
    Rudy

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